sabato 23 gennaio 2016

LE STORIE DI GIOVANNINO - Racconto storico della mia infanzia -

Le storie di Giovannino

A cura di

Di Giovanni Maffeo ,poetanarratore .

Presentazione :

Nome: Giovanni Maffeo Poetanarratore .

In questa mia narrativa dei miei pensieri ,dell’umana gente. La poesia trionfa nella mia travagliata e meravigliosa vita. Con molti anni alle mie spalle apro i miei occhi al mondo, nell’anima mia, al mio fiorito luogo natale . tra colli e il mare. Incomincio a meditare ,a esporre un fraseggio del mio immaginario di poeta narratore. Racconto a voi a tutte le genti :dialoghi ,storie narrativa di me; della mia gente, del mio stato d’animo, del mio pensiero ,passando ad allargare lo spazio della natura ,come della storia ,cercando con ansia cosmica le vie del cielo risalendo con spirito d’umana virtù .Non solo ai primi abitatori della terra che le leggende e le favole ricordano. Oggi che viviamo nel ventesimo secolo dove tutto è superato ,rimane il pensiero della gente, “la poesia”. 

Giovanni Maffeo, ” Poetanarratore”


INTRODUZIONE .

Sono diversi capitoli di diverse mie storie fanciullo  ove narro la mia infanzia al mio paese : di Salza Irpina in provincia di Avellino . Inoltre introduco percorsi storici dei miei luoghi  e i tempi storici  ove l'Italia  ebbe le sue numerose guerre e poi la ricostruzione  .G. M. P. 

MOLTE DI QUESTE NOTIZIE STORICHE SONO STATE PRESE DA TESTI DELLA STORIA ITALIANA .Ringrazio dunque le varie fonti informative e enciclopediche dove io ho attinto questa informativa e narrato completando questa introduzione per dare al lettore una chiarificazione e immagine della nostra Italia . 

Dopo secoli di invasioni di vari popoli L'Italia sorge .I popoli  che la invasero furono i tanti e i diversi :La storia d'Italia dunque è legata alla cultura occidentale, alla storia d'Europa e alle civiltà del bacino del Mediterraneo, ha vissuto i principali eventi storici del mondo occidentale.
L'Italia ha ereditato culture antiche come quelle dei Nuragici, degli Etruschi o dei Latini, è stata luogo di colonie di origine greca e cartaginese, di insediamenti celti e culla di alcuni fenomeni che hanno segnato la cultura occidentale quali l'Impero romano e il papato dopo essere stata in parte sotto la dominazione di Goti, Longobardi, Arabi, Bizantini e Normanni. 

Durante il Medioevo l'Italia restò frammentata in un mosaico di città-stato che combatterono tra loro per l'egemonia sul bacino del Mediterraneo, con frequenti interventi di potenze circostanti e della Chiesa cattolica. La sua posizione geografica fece sì che diventasse la chiave per il commercio europeo e ciò favorì le repubbliche marinare come Amalfi, Pisa, Genova e Venezia. Il potere spirituale del papa, la cui sede è a Roma, ha prodotto ripercussioni particolari in Italia. 

Questo patrimonio di importanza politica ha attirato lotte di potere tra i regnanti di tutta Europa. Inoltre, l'eredità culturale classica ed ecclesiastica è stato il terreno di cultura di nuove tendenze. Dopo l'esperienza dei comuni e delle signorie, nei XV e XVI, l'Italia è diventata il centro culturale d'Europa, dando vita all'Umanesimo e al Rinascimento. Allo stesso tempo, divenne uno dei campi di battaglia del continente, subendo l'egemonia di diverse potenze straniere tra le quali la Francia di Carlo VIII e l'Impero spagnolo. 

Dopo il declino spagnolo la monarchia austriaca cominciò a controllare l'area, così come gran parte dell'Europa centrale. Durante le guerre rivoluzionarie francesi e il Primo Impero di Napoleone Bonaparte, gli Italiani lottarono per la loro indipendenza. Tra il 1859 e il 1866, dopo una serie di guerre contro l'Austria, la penisola italiana fu unificata sotto la guida del Regno di Sardegna, anche se non nella sua interezza. Nel 1870 il Regno d'Italia annesse lo Stato Pontificio, inimicandosi la Francia, mentre già nel 1860 annesse il Regno borbonico delle due Sicilie. 


Successivamente l'Italia seguì le altre potenze europee nelle dinamiche imperialiste volte a ottenere un proprio spazio coloniale in Africa. Le ambizioni territoriali nel Vecchio Continente e la volontà di trovare un suo posto nel concerto di blocchi politici e alleanze sicure portò l'Italia a partecipare alla prima guerra mondiale a fianco della Triplice Intesa. La società italiana, delusa dalla "vittoria mutilata", fu ben presto vinta dal fascismo di Benito Mussolini e dei suoi seguaci, saliti al potere nell'ottobre del 1922 e che istituirono un regime totalitario a cominciare dal 1924-25. 

L'avvicinamento alla Germania nazista e la formazione dell'asse Roma-Berlino del 1936 saranno determinanti nella scelta italiana di entrare nella seconda guerra mondiale, nel 1940. Dopo il suo fallimento militare, la monarchia italiana (risalente al Ducato di Savoia) fu abolita. La repubblica attuale fu istituita nel giugno 1946, al seguito del quale dopo la ricostruzione vi fu un periodo storico di ripresa economica, militare, sportiva e politica, così come la riaffermazione di Italia come grande potenza industriale, essendo tra le nazioni fondanti del G6 (poi G7) nel 1975.
L'Italia è inoltre tra i 6 Paesi fondatori dell'Unione europea, la quale opera tramite meccanismi e politiche sovranazionali (come l'euro).

Fonte informativa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Di Giovanni Maffeo - Poetanarratore

Si vuole narrare un tempo ove in Italia era da qualche anno finita l’ultima guerra mondiale , il tempo fanciullo di Giovannino ,il mio tempo!

Era l’inizio del 1955 ,ero un bambino ,ad oggi ricordo i minimi particolari come se fosse ora : racconto di me, di quel tempo, di come era la vita di allora e i luoghi col seguire degli eventi e dei fatti accaduti ,un’esplorazione nella mia mente dei ricordi .

Voglio dunque non solo mostrare in parole la mia infanzia ,ma evidenziare un vivere quotidiano diverso da oggi che per molti di noi oggi è profano ,è antico ,o meglio obsoleto ,ma allora si risorgeva ,come dalle rocce sorge l’acqua pura ,la vita si ostentava e la fame si sentiva .Un mondo contadino per la maggior parte fatto di mezzadria ove il patriarcato della nobiltà era ancora vincente e evinceva il dominio padronale che per secoli hanno dominato un sistema feudale e se vogliamo monarchico . Fu infatti il dopo guerra a smantellare questo potere ,a dare una maggiore uguaglianza al popolo per una nuova era ,per una ricostruzione .Da qui le molte fabbriche del nord Italia permettevano ai molti contadini del sud ad emigrare ,a farsi una nuova vita e dare ai figli una maggiore sicurezza economica e sociale .

Questo infatti produsse ricchezza e stabilità economica per tutti ,ma a mio dire sconcertò quello che fu l’appartenenza ,il modo di vivere e nella stessa Italia ,tra gli stessi fratelli ci furono screzi di razzismo .Questo già fu annunciato nel 1850 con l’unione d’ Italia ,il potere dunque creato dagli uomini senza scrupoli permise a saccheggiare e a sminuire un sud fiorente e con l’evento della guerra distrusse il poco di buono che era rimasto .Il sud dunque fu teatro non solo dei tanti popoli che lo avevano vissuto e appropriato , ma reso talmente povero che le classi più deboli si videro migrare in America in Belgio ,in Francia ,in Germania ,in molte nazioni del mondo .I pochi rimasti fecero studiare i figli con sacrifici ,da questi poi professori molti insegnarono al nord ,un po’ in tutta la nazione ,oltre occuparono per la maggior parte le cattedre del nord e uffici pubblici ,un esercito di statali derivanti per la maggior parte dal sud .

L’invidia dunque era feroce , come era ostile la frequenza nelle fabbriche del nord ,un contrasto razziale senza pari .In questa narrativa dunque vi porto a scoprire l’Italia dei tempi passati , tempi in cui come detto c’era tanta fame ,ma non solo di cibo ,di inventiva, di credibilità ,di un riprendere in mano la vita e creare, conquistare un benessere con fatica acquisito .Ad oggi questi valori si sono affievoliti ,si sono persi ,l’evento della ricchezza ha portato lo sfacelo sociale e per i molti imprenditori ,per molti lavoratori si soffre una crisi senza pari .I più furbi hanno saccheggiato di nuovo l’Itali e ci vorrà un’altra ricostruzione ,non solo strutturale e economica , ma anche di vedute e concezioni diverse sempre che ci sarà il modo e la volontà di farlo .

Vi lascio dunque a questo racconto ove ne sono protagonista mostrandovi le due realtà e le due ere che si sono susseguite ; l’era manuale , l’era meccanica , e l’era elettronica ,oggi anni 2014 entriamo nella terza era , molto diversa ,molto più specializzata ,ma anche molto disfattista per l’occupazione numerica ,per la complicazione propositiva e specialistica .

Da qui dunque una serie di narrazioni più dettagliate per poi continuare e iniziare la mia storia .
La fine della seconda guerra mondiale vedeva un'Italia sconfitta ed occupata da eserciti stranieri al pari della Germania e delle altre potenze dell'Asse, condizione che aggravava la cronica distanza nei confronti dei paesi dell'Europa più sviluppata di cui soffriva sin dall'epoca del Risorgimento ed a cui sfuggivano solo poche isole felici. Le nuove logiche geopolitiche della Guerra fredda contribuirono, tuttavia, a far sì che l'Italia, paese cerniera fra l'Europa Occidentale, la Penisola Balcanica, l'Europa Centrale e l'Africa Settentrionale, vedesse del tutto dimenticato il suo antico ruolo di potenza nemica e potesse così godere, a partire dal 1947 di consistenti aiuti da parte del piano Marshall, valutabili in circa 1.2 miliardi di dollari dell'epoca

La fine di tale piano (1951) coincise inoltre coll'acme della Guerra di Corea 1950-1953, il cui fabbisogno di metallo ed altre materie lavorate fu un ulteriore stimolo alla crescita dell'industria pesante italiana. Si erano poste così le basi d'una crescita economica spettacolare, destinata a durare sino alla crisi petrolifera 1763 ed a trasformare il Belpaese da Paese sottosviluppato dall'economia eminentemente agricola ad una delle nazioni più sviluppate dell'intero pianeta. Per esempio, nei tre anni che intercorsero tra il 1959 ed il 1962, i tassi di incremento del reddito raggiunsero valori da primato: il 6,4%, il 5,8%, il 6,8% e il 6,1% per ciascun anno analizzato. Valori tali da ricevere il plauso dello stesso presidente statunitense Johon F. Kennedy in una celebre cena col presidente Antonio Segni .

Questa grande espansione economica fu determinata in primo luogo dallo sfruttamento delle opportunità che venivano dalla favorevole congiuntura internazionale. Più che l'intraprendenza e la lungimirante abilità degli imprenditori italiani , ebbero effetto l'incremento vertiginoso del commercio internazionale e il conseguente scambio di manufatti che lo accompagnò . Anche la fine del tradizionale protezionismo dell'Italia giocò un grande ruolo in quella fase . In conseguenza di quell'apertura, il sistema produttivo italiano ne risultò rivitalizzato, fu costretto ad ammodernarsi e ricompensò quei settori che erano già in movimento. La disponibilità di nuove fonti di energia e la trasformazione dell'industria dell'acciaio furono gli altri fattori decisivi. La scoperta del metano e degli idrocarburi in val padana, la realizzazione di una moderna industria siderurgica sotto l'egida dell'IRI, permise di fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi sempre più bassi.

Il maggiore impulso a questa espansione venne proprio da quei settori che avevano raggiunto un livello di sviluppo tecnologico e una diversificazione produttiva tali da consentir loro di reggere l'ingresso dell'Italia nel Mercato comune. Il settore industriale, nel solo triennio 1957-1960, registrò un incremento medio della produzione del 31,4%. Assai rilevante fu l'aumento produttivo nei settori in cui prevalevano i grandi gruppi: autovetture 89%; meccanica di precisione 83%; fibre tessili artificiali 66,8%.Ma, va osservato che il «Miracolo economico » non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro. Gli alti livelli di disoccupazione negli anni cinquanta furono la condizione perché la domanda di lavoro eccedesse abbondantemente l'offerta, con le prevedibili conseguenze in termini di andamento dei salari.

Il potere dei sindacati era effettivamente fiacco nel dopoguerra e ciò aprì la strada verso un ulteriore aumento della produttività. A partire dalla fine degli anni cinquanta infatti, la situazione occupazionale mutò drasticamente: la crescita divenne notevole soprattutto nei settori dell'industria e del terziario. Il tutto avvenne, però, a scapito del settore agricolo. Anche la politica agricola comunitaria assecondò questa tendenza, prevedendo essa stessa benefici e incentivi destinati prevalentemente ai prodotti agricoli del Nord Europa: tendenza del resto inevitabile, visto il peso specifico ormai raggiunto da aziende quali Olivetti e Fiat dentro e fuori dall'Italia, e la potenza di capitani d'industria come Giovanni Agnelli rispetto ai deboli governi della prima repubblica Italiana

Il sistema economico dopo la fine della guerra.

Il sistema economico Italiano marciava a pieno regime, il reddito nazionale stava crescendo e la gente era rinfrancata dall'incremento dell'occupazione e dei consumi. Si erano infine dimenticati gli anni bui del dopo guerra, quando il paese era ridotto in brandelli. È pur vero che tanti erano ancora i problemi da affrontare, fra cui la carenza di servizi pubblici, di scuole, di ospedali e di altre infrastrutture civili. Ma in complesso prevaleva un clima di ottimismo.



D'altra parte, all'inizio del 1960 l'Italia si era fregiata di un importante riconoscimento in campo finanziario. Dopo che un giornale inglese aveva definito col termine “miracolo economico ” il processo di sviluppo allora in atto, dalla Gran Bretagna era giunto un altro attestato prestigioso per le credenziali e l'immagine dell'Italia. Una giuria internazionale interpellata dal “Financial Times” aveva infatti attribuito alla lira l'”Oscar” della moneta più salda fra quelle del mondo occidentale. Un premio che aveva coronato una lunga e affannosa rincorsa, iniziata nell'immediato dopoguerra, per scongiurare la bancarotta e non naufragare nell'inflazione più totale.

Di conseguenza, si era infine potuto stabilizzare il cambio fra la lira e il dollaro , fissato a quota 625, e la rivalutazione delle riserve auree della Banca D’Italia era servita a ridurre l'indebitamento del Tesoro. Di qui anche l'euforia diffusasi in Borsa con i listini in forte rialzo. Sino a qualche tempo prima, ben pochi avrebbero immaginato che l'Italia potesse conseguire un successo economico dopo l'altro. È vero che, grazie agli aiuti americani del Piano Marshall, l'opera di ricostruzione post-bellica era avvenuta più rapidamente del previsto, ma l'Italia era rimasta pur sempre un paese prevalentemente agricolo, con una gran massa di braccianti e coloni.

Le cause e i fattori che hanno permesso lo sviluppo economico.

Tra i fattori che hanno concorso allo sviluppo un ruolo importante viene attribuito all’ampia disponibilità di manodopera che aveva evitato al nostro paese quelle strozzature che si erano, invece, verificate altrove dando luogo a forti correnti immigratorie. Come si è visto, essa rappresenta il fattore centrale cui l'economista Kindleberger spiega l’intenso sviluppo di quegli anni. Lo schema seguito dall’economista americano è noto: quando in un sistema economico Italiano coesistono settori caratterizzati da differenti livelli di produttività e di salari, possono verificarsi trasferimenti di lavoratori in eccesso dal settore tradizionale, con produttività marginale quasi nulla, verso il settore più dinamico senza far lievitare significativamente i salari unitari e consentendo, invece, un incremento dei profitti che, attraverso l’impulso agli investimenti, alla produzione e, quindi, all’occupazione alimentano una sorta di circolo virtuoso della crescita.

Per l’Italia, i settori in questione coincidono, rispettivamente, con l’agricoltura e l’industria . Si spiegherebbe così anche la crisi che si è registrata in Italia nella prima metà degli anni sessanta , attribuita proprio all’esaurirsi della forza lavoro in eccesso. Fino agli inizi degli anni sessanta l’incremento medio dei salari era stato, infatti, inferiore a quello della produttività, anche se la quota di partecipazione dei redditi da lavoro al prodotto nazionale netto era aumentata tra il 1950 e il 1960 dal 50,8% al 55,1%.

Negli anni sessanta, l'architetto Robert Stern applicò, invece, allo sviluppo economico italiano un modello del tipo «export led» prendendo in considerazione il periodo successivo al 1950 perché riteneva che gli anni precedenti fossero stati eccessivamente influenzati da fattori eccezionali, piano Marshall compreso. Le conclusioni cui Stern era pervenuto si basavano innanzitutto sul fatto che le esportazioni italiane si fossero sviluppate nel periodo 1950-1962 ad un ritmo nettamente superiore a quello registrato dalle esportazioni mondiali. Le prime si erano, infatti, più che triplicate (+307%) mentre a livello mondiale si era registrato un incremento del 95%; e volendo circoscrivere il raffronto alle sole esportazioni industriali le conclusioni non cambiavano di molto (388% contro 123%).

Inoltre, disaggregando i dati relativi all’industria italiana Stern operò una netta distinzione tra settori “dinamici” (metallurgico, macchinari e prodotti metallici, mezzi di trasporto, prodotti chimici e fibre sintetiche, derivati del petrolio e del carbone), contraddistinti da un maggior incremento delle esportazioni (dal 47,6 al 60% sulle esportazioni industriali nel periodo compreso tra il 1951 e il 1963) e della produzione (+302,5%), e settori “tradizionali” (alimentari, bevande, tabacco, tessili, abbigliamento, calzature e cuoio) la cui quota sulle esportazioni industriali era diminuita dal 44,4% al 32,4% mentre lo sviluppo della produzione era stato solo del 97,7% In sostanza, le esportazioni furono un importante stimolo all’investimento e quindi allo sviluppo di queste industrie nel periodo considerato. Inoltre, siccome si trattava delle industrie che contribuirono in modo significativo all’aumento della quota dei manufatti nel prodotto interno lordo italiano durante il periodo postbellico, sembra che si possa in base a tutto ciò affermare che il ruolo delle esportazioni nello sviluppo dell’economia italiana fu veramente notevole. 

Tale interpretazione è stata, successivamente, adottata con alcune modifiche anche dall'economista Augusto Graziani . Secondo Graziani, infatti, lo sviluppo degli anni cinquanta , che aveva tratto impulso dalla crescente liberalizzazione del commercio estero, aveva determinato il consolidamento di un dualismo industriale tra settori orientati verso i mercati esteri, e settori volti, invece, a soddisfare prevalentemente la domanda interna, finendo con l’accentuare le forme di dualismo territoriale, data la maggiore concentrazione dei primi nelle regioni centro-settentrionali.In pratica, “i settori che producono per il mercato di esportazione hanno necessità di presentare prodotti competitivi sui mercati esteri (o, che è lo stesso, divengono settori esportatori solo se realizzano una sufficiente competitività). I settori esportatori devono quindi realizzare i livelli di produttività e di efficienza necessari per affrontare la concorrenza sui mercati esteri. Non così accade per i settori che lavorano per il mercato interno, i quali, al riparo della concorrenza estera, non sono vincolati ad alcun particolare livello di efficienza e di produttività ”. Il modello interpretativo di Graziani è stato sottoposto a critiche per l’eccessivo peso che in esso assume la concorrenza estera.

Le esportazioni .


lettera 22, distribuita dalla Olivetti ed esportata in tutto il mondo


Le esportazioni a più alto valore aggiunto erano, poi, cresciute a ritmi ancora più sostenuti: di 4,5 volte quelle meccaniche, quasi quadruplicate le chimiche. Era diminuito, invece, da circa un terzo a un quinto il peso delle esportazioni alimentari. Pertanto, le esportazioni di prodotti meccanici e chimici, che all’inizio del periodo erano pari all'84,5% delle esportazioni tessili e al 28,7% di quelle totali, assumevano a fine periodo valori pari, rispettivamente, al 161% e al 33,3%.Nell’ambito del settore meccanico i maggiori incrementi riguardavano i prodotti finiti e, in particolare, le macchine da scrivere e da calcolo. Per il tessile la situazione era andata invece peggiorando nei primi anni cinquanta con l’accentuarsi della concorrenza internazionale e la perdita di alcuni mercati tradizionali come quelli dell’America del sud .

Nel corso del 1954 la bilancia commerciale tessile si era volta al passivo ma, in compenso, tale andamento aveva prodotto l’effetto di accelerare il processo di rinnovamento degli impianti e di riorganizzazione del lavoro anche se continuavano a convivere, dando sovente vita ad un «reticolo interno» di rapporti economici, “da una parte, i colossi da 1000 e più dipendenti; dall’altra, le piccole aziende industriali e artigiane, spesso con meno di dieci dipendenti, e una schiera di lavoranti a domicilio”.

Circa la destinazione delle nostre esportazioni, durante il decennio cinquanta si era consolidata l’importanza dei paesi europei verso cui era diretto il 62,3%, mentre il continente americano ne assorbiva il 20%. Al loro sviluppo continuo aveva certamente contribuito il positivo andamento dell’economia internazionale che favorì sia l’esportazione dei beni di consumo sia quella di beni strumentali, sorrette entrambe da una forte competitività e da una crescente specializzazione che avevano concorso a modificare la struttura delle correnti di esportazione, a vantaggio dei prodotti finiti industriali.

Le importazioni

Nello stesso periodo l’incidenza delle impostazioni era cresciuta dal 10,6% al 16,6% sul complesso delle risorse disponibili e dal 9,2% al 16,5% rispetto alla domanda globale. Il loro valore complessivo era aumentato da 926 a 2.951 miliardi di lire , con un incremento annuo regolare, interrotto solo dal breve ciclo coreano e dalla flessione registrata tra il 1957-1958 in corrispondenza alla sfavorevole congiuntura registrata negli Stati Uniti d’America e in altri paesi europei. Le importazioni di generi alimentari erano diminuite dal 20,4% al 16,7%, in relazione al crescente peso delle attività industriali e al generale miglioramento del tenore di vita della popolazione che erano, anche, alla base dell’incremento, dal 60,3% a 67,3%, delle importazioni di prodotti non agricoli e di materie prime industriali.

Inoltre, in relazione ai differenti ritmi di sviluppo che caratterizzavano i vari settori di attività, la composizione merceologica delle materie prime metteva in evidenza il progressivo ridimensionamento di quelle tessili ed un maggior peso di quelle impiegate nei settori meccanico e petrolchimico Italiano. Anche per le importazioni si era registrata una maggiore intensità degli scambi con gli altri paesi europei; in particolare, la percentuale di acquisti dagli altri paesi della comunità era cresciuta dal 17% al 27%, mentre erano progressivamente diminuite le importazioni dagli Stati Uniti . 

Il punto più debole dell'economia italiana era quello rappresentato dall'Agricoltura. Le aziende caratterizzate da una scarsa produttività o ai margini di un'economia di sussistenza erano quasi il 60% del totale e le piccole imprese familiari avevano continuato ad ampliare la loro presenza senza dar luogo ad adeguate forme associative nella produzione e nel collegamento con i mercati. In pratica, circa l'80% della superficie coltivata era distribuita fra 2 milioni e mezzo di unità aziendali, di cui 2 milioni con dimensioni inferiori ai 5 ettari.

A rendere quanto mai precaria la situazione della nostra agricoltura stava poi il fatto che le terre più fertili riguardavano poco più di un terzo della superficie coltivata ed erano prevalentemente concentrate in val Padana, mentre quelle povere o mediocri rappresentavano un carico variabile tra il 60% e il 65% della popolazione agricola attiva e si dividevano un reddito equivalente a non più del 33% della popolazione nazionale.

Fatto sta che soltanto tra il 1960 e il 1962 si cominciò a affermare, in sede politica l'esigenza di introdurre dei correttivi, di attuare alcuni provvedimenti che evitassero un peggioramento del divario fra Nord e Sud, assecondassero l'ammodernamento dell'agricoltura per sanare il deficit della bilancia agro-alimentare e ponessero un freno alle speculazioni immobiliari cresciute a dismisura nelle principali aree urbane in seguito alla forte domanda di alloggi da parte degli immigrati; e, non da ultimo, rimuovessero posizioni ormai intollerabili di dominanza oligopolistica nel settore

elettrico e in vari servizi di interesse collettivo.

Il divario fra Nord e Sud

La prevalente concentrazione industriale e delle condizioni di maggiore produttività agricola e terziaria nel Nord del paese continuava, però, ad alimentare situazioni di forte divario territoriale, cariche di implicazioni sociali oltre che economiche. Durante il decennio cinquanta il tasso annuo di crescita dei redditi pro capite era stato pari al 5,3% nell’Italia centrosettentrionale e al 3,2% nel Mezzogiorno. In presenza di un basso livello di industrializzazione , lo sviluppo del settore terziario in meridione discendeva dall’eccesso di forza lavoro , generalmente senza alcuna qualificazione, che dava luogo ad un moltiplicarsi di attività precarie e scarsamente produttive e determinava una lievitazione delle cifre relative al prodotto delle attività terziarie, cui non corrispondeva però un effettivo stabile sviluppo dei servizi necessari al funzionamento di una società industrialmente avanzata.

Anche l’integrazione sui mercati internazionali aveva finito col rafforzare i caratteri del divario territoriale perché gli sforzi volti ad acquisire una maggiore competitività avevano interessato soprattutto le aziende proiettate sui mercati internazionali e concentrate prevalentemente nel Nord del paese. Inoltre, le particolari dinamiche occupazionali avevano comportato che i redditi da lavoro crescessero nell’industria più che negli altri settori di attività e che la loro distribuzione geografica presentasse caratteristiche di forte concentrazione solo in parte giustificate dalla diversa consistenza demografica .

Quattro regioni settentrionali (Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e Lombardia), infatti, assorbivano nel 1960 un volume di redditi da lavoro (4.099 miliardi) praticamente doppio rispetto a quello (2.088 miliardi) riferibile a sette regioni centro-meridionali (Abruzzi, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Le cose, peraltro, non sarebbero cambiate di molto neanche dieci anni più tardi e il carattere dualistico del nostro sistema economico trova una puntuale conferma, ovviamente anche facendo riferimento a questo fenomeno. Il divario territoriale, che investiva i vari aspetti della vita economica, si manifestava anche in quelli più propriamente demografici.

Negli anni cinquanta la popolazione italiana aveva registrato un incremento medio annuo del 6 per mille, con un andamento decrescente della natalità e della mortalità che evidenziava un allineamento con i valori già da tempo registrati in altri paesi europei. Tuttavia, i diversi tassi di natalità e di mortalità, dovuti anche alla differente struttura per età della popolazione, configuravano una sorta di «dualismo demografico». Tra il censimento del 1951 e quello del 1961, l’incremento demografico era stato pari a circa 3 milioni, ma esso era stato stato più sostenuto nelle regioni centro-settentrionali che non in quelle meridionali, nonostante queste ultime avessero registrato un più elevato tasso di natalità ed un più basso tasso di mortalità. Gli effetti dei flussi migratori , interni e verso l’estero, erano stati infatti superiori a quelli del movimento naturale, influenzando in modo decisivo la distribuzione geografica della popolazione, in stretta connessione con l’evoluzione delle vicende economiche.

Gli spostamenti interni avevano accentuato il livello di concentrazione demografica nelle città capoluogo di provincia la cui quota di popolazione era aumentata dal 28,2 al 31,9%, e il fenomeno era ancor più evidente al Nord dove la percentuale era aumentata dal 33,2 al 41,6%. In sostanza si era consolidato, tra il 1951 e il 1961, quel processo di intensa urbanizzazione che aveva interessato il paese fin dalla sua unificazione ed a cui si contrapponeva, invece, il progressivo spopolamento delle zone montane. Nel decennio in esame, infatti, il tasso medio annuo di crescita della popolazione residente registrato nei tredici centri urbani più popolosi era pari al 21,7 per mille, più che triplo rispetto a quello generale (6,4 per mille). A conferma della inadeguatezza delle riforme attuate fin dall’inizio degli anni cinquanta, la crescita del fenomeno migratorio era divenuto un inarrestabile richiamo per masse diseredate e che erano appena approdate a godere delle opportunità loro offerte dalla riforma agraria e dalle opere infrastrutturali promosse dalla Cassa per il Mezzogiorno.

Ma quegli orizzonti, un tempo soddisfacenti se confrontati all’endemica miseria precedente, ora non erano più senza alternative: l’occupazione al Nord rappresentava quindi un’attrattiva fortissima, tanto da superare gli ostacoli frapposti da una cultura secolare ostile a quelle migrazioni . Di fatto, i due milioni di ettari che, attraverso la riforma agraria e i vari incentivi fiscali e creditizi, erano stati acquisiti dalla piccola proprietà coltivatrice, a metà degli anni sessanta, tra abbandoni e successivi passaggi di proprietà, si sarebbero ridotti a circa 600 mila ettari, con un assottigliamento progressivo del numero di aziende condotte dagli assegnatari originari. Dunque, nonostante la piccola proprietà coltivatrice avesse raddoppiato tra il 1919 e il 1961 la propria estensione, raggiungendo i 10 milioni di ettari, tale sviluppo ha significato spesso un’ulteriore espansione delle basi di insediamento di quelle vere e proprie

«centrali di smistamento del lavoro» che sono state le famiglie contadine.

Le migrazioni

Un'importante conseguenza di questo processo fu l'imponente movimento migratorio avutosi negli anni sessanta e anni settanta. È stato calcolato che nel periodo tra il 1955 e il 1971, quasi 9.150.000 persone siano state coinvolte in migrazioni interregionali; nel quadriennio 1960-1963, il flusso migratorio dal Sud al Nord raggiunse il totale di 800.000 persone all'anno.

Gli anni sessanta furono, dunque, teatro di un rimescolamento formidabile della popolazione italiana. I motivi strutturali che indussero prevalentemente la popolazione rurale ad abbandonare il loro luogo d'origine furono molteplici e tutti avevano a che fare con l'assetto fondiario del Sud, con la scarsa fertilità delle terre e con la polverizzazione della proprietà fondiaria , causata dalla riforma agraria del dopoguerra che aveva espropriato i latifondisti e che aveva suddiviso la proprietà terriera in lotti troppo piccoli. Ai fattori strutturali si accompagnarono quei fattori nelle Regioni del triangolo industriale .

Le ripercussioni sociali.

Il 18 gennaio 1954, nelle battute iniziali del miracolo economico, il ministro dell'economia Ezio Vanoni predispose un piano per lo sviluppo economico controllato che, negli intenti del Governo, avrebbe dovuto programmare il superamento dei maggiori squilibri sociali e geografici (il crollo dell'agricoltura, la profonda differenza di sviluppo tra Nord e Sud); ma questo piano non portò ad alcun risultato. Le indicazioni che vi erano contenute in materia di sviluppo e di incremento del reddito e dell'occupazione , si basavano su una previsione fortemente sottostimata sul ruolo che avrebbe dovuto giocare il progresso tecnologico e l'incremento della produttività del lavoro che ne sarebbe derivato.

Quelle previsioni furono, quindi, travolte da un processo d'espansione, ben lungi da quel ristagno che il piano Vanoni metteva nel conto delle previsioni. Proprio perché non previsto, e per mancanza di un incanalamento regolato della crescita, il processo di espansione portò con sé gravi squilibri sul piano sociale. Il risultato finale fu quello di portare il « boom economico » a realizzarsi secondo una logica tutta sua, a rispondere direttamente al libero gioco delle forze del mercato e a dar luogo a profondi scompensi. Il primo di questi fu la cosiddetta distorsione dei consumi.

Una crescita orientata all'esportazione determinò una spinta produttiva orientata sui beni di consumo privati, spesso su quelli di lusso, senza un corrispettivo sviluppo dei consumi pubblici. Scuole, ospedali, case, trasporti, tutti beni di prima necessità restarono infatti parecchio indietro rispetto alla rapida crescita della produzione di beni di consumo privati. Il modello di sviluppo sottinteso al «boom» implicò dunque una corsa al benessere tutta incentrata su scelte e strategie individuali e familiari, ignorando invece le necessarie risposte pubbliche ai bisogni collettivi quotidiani.

Consumismo


Gli anni della grande espansione furono anche teatro di straordinarie trasformazioni che riguardarono lo stile di vita, il linguaggio e i costumi degli italiani, accompagnati da un deciso aumento del tenore di vita delle famiglie italiane. Nelle case delle famiglie di quanti potevano contare su uno stipendio e un posto di lavoro stabile cominciavano a far ingresso numerosi beni di consumo durevoli, come le prime lavatrici e frigoriferi , la cui produzione era svolta soprattutto da imprese italiane di piccole e medie dimensioni . Anche le automobili cominciavano a diffondersi sulle strade italiane con le fiat 500 e 600 in produzione rispettivamente dal 1955 e dal 1957 e progettate ex novo da Dante Giacosa , che diede grande impulso alla produzione della casa torinese.

Si costruirono anche le prime autostrade di moderna concezione, dopo quelle costruite già sotto il fascismo (come l'Autostrada dei laghi e l‘autostrada Firenze mare) ed a partire dalla Milano Napoli, l'Autostrada del sole . Con le nuove vetture e lo sviluppo delle strade ed autostrade iniziarono inoltre le abitudini delle vacanze estive ed invernali, sulle spiagge e sulle montagne, con i primi relativi ingorghi e l'aumento vertiginoso di incidenti stradali. Tuttavia, nessuno strumento ebbe un ruolo così rilevante nel mutamento delle abitudine della società quanto la televisione ,che entrò nelle case degli Italiani nel 1954 dopo circa vent'anni di sperimentazioni.

Progressivamente essa impose un uso passivo e familiare del tempo libero a scapito delle relazioni di carattere collettivo e socializzante che, alla lunga, avrebbe modificato profondamente i ruoli personali e gli stili di vita oltre che i modelli di comportamento, anche se sulle prime, a causa dello scarso numero di apparecchi presenti sul territorio nazionale, favorì tuttavia l'instaurazione di nuove occasioni d'incontro: celebri le folle che si radunavano nei bar ad ogni puntata del gioco a premi Lascia raddoppia condotto da Mike Bongiorno. Le trasmissioni ufficiali della Rai iniziarono il 3 gennaio 1954: i televisori, allora, erano appena 15 mila, e un televisore “economico” costava circa 200 mila lire e il primo canone di abbonamento venne fissato a 12.550 lire, il più alto d'Europa.

In concomitanza con l'aumento dei beni di consumo, andavano crescendo i consumi d'energia e lettrica per uso domestico; dopo l'integrazione dal 1958 nel gruppo Stet delle società concessionarie e l'avvio del servizio di teleselezione, la densità degli apparecchi risultava nelle principali città del Nord pressoché pari alla media di altri paesi occidentali. Fatto sta che tra il 1952 e il 1958, mentre i consumi privati in generi di sussistenza e di prima necessità aumentarono ogni anno del 4.4%, l'acquisto di mezzi di trasporto, di apparecchi televisivi e altri prodotti di carattere voluttuario crebbe rispettivamente dell'8.5% e del 11.5%.

I notevoli progressi economici susseguitisi nella seconda metà degli anni cinquanta sorpresero gran parte della classe politica. Di fatto, non si erano valutati in tutta la loro portata gli effetti che avrebbero prodotto le innovazioni tecnologiche adottate man mano dai principali complessi industriali. Inoltre non si erano percepite, o valutate in pieno, le trasformazioni avvenute in alcune regioni centrali e nord-orientali del paese, dove si era andato formando un ceto di piccoli imprenditori e di artigiani specializzati. D'altra parte, grazie al recupero della stabilità monetaria, era affluito un crescente volume di depositi nelle banche e nelle casse di risparmio e perciò si erano ampliate le possibilità di ricorrere senza eccessivi problemi a quel tanto di prestiti in denaro contate che serviva a mettere su un'attività in proprio.

La commedia italiana.

Una testimonianza per tanti aspetti pregnante su questa fase di transizione, segnata dall'intreccio ibrido fra la persistenza di consuetudini arcaiche e l'irruzione di mode e usanze orecchiate dall'estero, la si può ritrovare nella cosiddetta “commedia all‘Italiana ”, che cominciò a imporsi dalla fine degli anni Cinquanta. Il più celebre esempio di commedia all'italiana apparve nelle sale cinematografiche nel 1960 con un grande film girato da Federico Fellini, intitolato La dolce vita .

Si trattava infatti di un genere cinematografico che per tanti versi era l'espressione e lo specchio di una società ambivalente, in bilico fra il vecchio e il nuovo, di una società in parte ancora sparagnina e frugale, in parte proiettata verso il consumismo con l'appetito dell'adolescente; in parte, provinciale e codina, attardata su viete convenzioni, in parte alla rincorsa di tutto ciò che sapesse di moderno anche nei suoi aspetti più superficiali ed eclatanti. Era cominciata l'era dello spettacolo, dei cantautori e dei concerti rock.

Le condizioni di vita della popolazione .

Lo sviluppo di quegli anni era accompagnato da un miglioramento generale delle condizioni di vita della popolazione sostenuto dalla crescita dei consumi privati che, tra il 1950 e il 1962, avevano registrato un tasso di sviluppo “di entità mai sperimentata in precedenza”, pari al 4,9% annuo (6,6% nell’ultimo triennio). Sebbene tale saggio di incremento fosse più basso di quello registrato dalle altre componenti della domanda finora passate in rassegna, il che chiama in gioco le complesse dinamiche connesse con la crescita e la distribuzione della ricchezza prodotta nonché le politiche che le regolano, i consumi continuavano a mantenere un peso notevole nell’ambito della destinazione delle risorse e di questo, naturalmente, le aziende non potevano non tenerne conto specie in relazione alla esigenza di una maggiore competitività derivante dalla progressiva apertura dei mercati internazionali.

Le dinamiche demografiche, con i connessi aspetti dell’inurbamento, ed il sostenuto aumento dei redditi pro capite, facevano sì che la crescita dei consumi fosse accompagnata da significative modifiche nel modello di spesa. Il confronto per tipologia di consumo tra l’inizio e la fine degli anni cinquanta metteva, infatti, in risalto una minore incidenza dei generi alimentari, tabacchi e abbigliamento (da 60,4 a 50,8%), a vantaggio della spesa per abitazioni (da 5,9% a 8,7%), mobili (da 7% a 8%), istruzione e spettacoli (da 7,3% a 8,2%) e, soprattutto, trasporti e comunicazioni (da 4,7 a 8,4%)39S. Inoltre, la quota dei consumi durevoli era aumentata dal 3,8% all'8,3% e, in particolare, il numero delle autovetture in circolazione era passato, nel decennio 1951-1961, da poco più di 425 mila a 2,45 milioni di unità, un salto notevole - pur in presenza di notevoli divari tra una regione e l’altra - verso la motorizzazione di massa se si pensa che tra il 1931 e il 1951 l’aumento era stato di appena 240 mila unità.


Assumeva, quindi, ulteriore significato la centralità assunta, nell’ambito dello sviluppo di quegli anni, dal settore meccanico dal momento che “la diffusione dei beni di consumo durevole, automobili ed elettrodomestici , ha rappresentato non solo un elemento trainante per l’economia nel suo complesso ma anche un fattore di più profonde trasformazioni sociali e culturali”. L’incremento dei consumi era stato reso possibile dalla continua crescita dell’occupazione e, quindi, dei salari che dal 1950 al 1960 erano aumentati del 142%, così come era aumentata la loro quota sul reddito nazionale netto (dal 44,1 al 47,9%).

In particolare, i redditi da lavoro dipendente erano passati da 4.503 a 8.977 miliardi di lire tra il 1952 e il 1960; si trattava di “una massa imponente di risorse, la cui manovra e le cui modificazioni, derivate essenzialmente dalla politica dei sindacati , influisce piuttosto notevolmente, come del resto la realtà ha mostrato, sull’intero sistema economico”. Inoltre si è notato che gli italiani erano diventati più alti: fra il 1951 e il 1972 la statura media passo da 170 a 174 cm. Anche nel settore del tempo libero ci furono profonde trasformazioni. Dal 1956 al 1965 raddoppiarono le presenze negli alberghi e quelle nei campeggi aumentarono di quattro volte. Le vacanze divennero così uno dei simboli del boom, e chi ci andava poteva sperimentare le ultime novità in materia di sport , come lo sci nautico .

La psicologia collettiva .

Ancora forte era tuttavia l'influenza, nei costumi e nella psicologia collettiva, di una cultura popolare tipica del mondo contadino e di certi valori e rituali tradizionali. I legami di parentela , le reti di solidarietà familiare, la raccomandazione del parroco o del notabile di turno, la proverbiale arte di arrangiarsi e la ruvida furbizia ereditata dalla gente di campagna, il controllo sociale esercitato dal vicino, continuavano a segnare un po' dovunque la vita e i modelli di comportamento individuali. Quella che stava avvenendo nella penisola in quegli anni era, in sostanza, una trasformazione per certi aspetti rivoluzionaria sul piano strutturale, ma assai più circoscritta sul piano colturale e sociale .

L'Italia verso “L'autunno caldo”


Considerando la politica controllata dello sviluppo economico, adottata dall'Italia emersero ben presto le vistose carenze dell'amministrazione pubblica quanto a capacità effettive di coordinamento e gestione degli strumenti necessari per l'attuazione delle finalità indicate dai vari piani elaborati in sede ministeriale . D'altra parte, a complicare le cose s'era verificato fra il 1962 e il 1963, in seguito a una massiccia ondata di scioperi , il primo shock salariale del dopoguerra, conclusosi con un aumento delle retribuzioni di oltre il 14% nell'industria manifatturiera.

È pur vero che a imprimere un andamento più pronunciato alla dinamica delle retribuzioni furono non solo le conquiste sindacali della classe operaia , ma anche gli aumenti retributivi ottenuti dai dipendenti del pubblico impiego. In ogni caso, a ripristinare le precedenti condizioni non erano bastate le misure delle autorità monetarie che, attraverso un'accelerazione nell'offerta della moneta, avevano cercato di ridare fiato alle imprese consentendo loro di recuperare una parte dei profitti persi in seguito alla crescita dei salari .

La reazione di numerosi imprenditori , anche perché allarmati dalla svolta politica, s'era tradotta infatti in una contrazione degli investimenti, ed anche in una fuga di capitali all'estero. Fin dall'inizio il centro-sinistra si era trovato così col fiato corto, alle prese con una recessione pesante, ancorché breve, e caratterizzata da forti spinte inflazionistiche . E tutto ciò quando la nuova coalizione aveva esordito con l'ambizione di sciogliere, confidando nel proseguimento di una congiuntura espansiva, i nodi che generavano diseconomie esterne e disagi sociali. Molte aspettative vennero così meno e andò crescendo per contro un'ondata di amarezze e delusioni che sarebbe sfociata alla fine nel cosiddetto “autunno caldo ” del 1969 e in un generale moto di contestazione destinato a rendere sempre più problematica la stabilità del quadro politico , ove da allora le varie politiche ne hanno abusato per poi arrivare allo sfascio negli anni duemila .

Ringrazio dunque le varie fonti informative e enciclopediche dove io ho attinto questa informativa e narrato completando questa introduzione per dare al lettore una chiarificazione e immagine della nostra Italia . 

Le storie di Giovannino

Autore e scrittore Giovanni Maffeo - Poetanarratore -



Essendo io poeta ,inizio con una mia poesia ,rivolta alla mia terra ,al mio sud !

 

Terra del sud .

Aspra e arida sorgiva e fertile



generosa con gli amati ,



con la gente la sanguigna tempra.



Terra dei mie avi terra antica ,

scotti già al mattino a piedi nudi;

scaldi il sangue agli innamorati

emani odori come mai nessuna .

Del figlio tuo ne fai germoglio

tra i grandi eletti ti fai notare ,

la tua bellezza è piena di natura

di aria pura ne è pieno il mare .

E fosti culla di mille avventurieri ,

di vitigno greco la tua uva è matura ;

di lacrime e sangue colorasti i fiori.

E di polvere tra le mani veste i tuoi dolori

di tradizioni antiche ne fai armonia;

hai dato i natali a gente come noi

diffondi per il mondo il tuo onore.

Terra del sud , Terra mia ,terra Irpina!

Terra che risorge al mattino con il sole,

la chiamo alchimia , ha il nettare degli dei;

terra di vulcani e monti e colli

lì ,colgo il giglio alla mia amata …

E con i tuoi figli oltre le frontiere approdi

da una mamma coraggiosa le lodi porgo ,

È il tricolore la tua bandiera!

tue ricchezza fosti saccheggiata.

Terra fertile dove la terra è nera

si può raccogliere il profumato fieno,

con l’acre odore e la zappa tra le mani;

sfami bimbi e festeggi sulle aie ;

d’amore i colori dei ciliegi .

Terra del sud della patria nostra !

Ti vesti a lutto e porti vestiti neri ;

e non è vero che il sangue scorre a fiumi

l’omertà non è paura! La parola è muta nell‘anima c’è l‘amore.

Terra di fuoco e di dolcezza di amori e di bellezza

di amanti che avvampano concupiscenza,

freme il desiderio tra le carni passionali;

facili a cedere all’impeto dell’amore .

Tocco la zolla che mi diede pane

e si sgretola dove io crebbi sano ,

erra di perdoni e di onori di antichi nomi fu la gloria .



LA MIA FANCIULLEZZA .


Dalle storie di Giovannino. 

La tata (Rosina ) e la focaccia imbottita.

Premessa di presentazione.
Da qui parto con una serie di miei racconti ;piccole storie ambientate e vissute nel quotidiano di quei tempi in terra Campana ,ai piedi del monte Vergine ,santuario famoso di quei luoghi in provincia di Avellino la mia terra ! Esattamente sita nel paese di Salza Irpina,nell’entroterra Irpinia. Storie brevi dove si vuole evidenziare le immagini di quei tempi e luoghi e della ricostruzione del dopo guerra e la sua industrializzazione, ricorrente agli anni sessanta … 

Quello che vi sto per raccontare ebbe inizio molti anni fa .Erano gli anni sessantadue ,l‘anno prima dell‘a migrazione di Giovannino in terra Bergamasca .In quel l’anno aveva nevicato molto e la casa di campagna dove Giovannino abitava con i suoi genitori era coperta da una grande coltre di neve enorme con accanto alberi di mandorlo e di Celso che facevano da cornice all’immagine del paesaggio imbiancato . 

Tutto ciò non impediva a Giovannino di muoversi e andare nei viottoli della sua campagna a fare i suoi giri e raccogliere qualche ultimo frutto rimasto su gli alberi . Con abiti malconci ma puliti ,lui e sua sorella Giovanna al mattino presto continuavano ad andare in paese a portare il latte ai vari signori che lo chiedevano . Con scarpe rotte e tanta buona volontà si incamminavano felici in mezzo alla neve ,il paese restava distante un paio di chilometri ,ma con ciò la distanza non li scoraggiava ,Giovannino fiero e orgoglioso ammirava con gioia quello scenario tutto bianco e quasi gli volesse dire : resta sempre così ! Che restasse sempre uguale,forse già allora apprezzava la purezza del bello che in quelle immagini naturali lui ne traeva poesia.

Camminava frettoloso perché la giornata era piena di impegni e a una età come la sua “sette anni “era eccessivo svolgere tutto :la scuola,il ciabattino dove andava dopo la scuola,la nonna eccetera, eccetera . Dal ciabattino, li per volere del padre a lavorare le scarpe e per non restare in ozio con gli amici sulle strade del paese ,seguiva la sera con i compiti ,sempre più difficili ,e Giovannino proprio non ne voleva sapere ,la matematica poi era il suo flagello ,ne capiva poco e non gli entravano in testa i numeri ,erano più le sberle del padre che quello che capiva ,d’altro canto in quella realtà rurale di quei tempi tutto restava difficile e precario . 

Nelle serate che seguirono ,esattamente ogni Giovedì e il Sabato di ogni settimana il proprietario delle terre ,Giuseppe Capozzi ,invitava a tutti i suoi coloni al suo palazzo che si trovava al centro del paese di Salza Irpina ,li il maestoso camino con in torno tutti i coloni e il proprietario delle terre ,ad un lato del salone ,in alto su di un mobile la televisione ,una delle prime ,dove in quel preciso giorno di Giovedì o di Sabato davano lascia o raddoppia , mentre la sera del sabato davano canzonissima,programmi televisivi di quei tempi li, in quel punto della casa c’era l’angolino dei più piccoli ,i figli dei coloni . 

L’attesa della tata era la nostra gioia ,focacce ripiene di carne ci deliziava il palato e la fame che avevamo e i dolci che lei stessa faceva con cura . Si chiamava Rosina ,la tata e serva del padrone ,noi la chiamavamo Rosinella ! Dopo finita la serata e dopo i vari argomenti dei coloni sul come e quando il da fare per le culture di primavera e le varie spartizioni di mezzadria col padrone .Si tornava a casa a sera tarda e nonostante la distanza e il freddo tutto appariva splendente e luccicante ,sotto una luna chiara che indicava la strada del ritorno .

UN PO’ COME IN QUEI LUOGHI SPERDUTI DELLA TERRA OVE SI VEDE L‘AURORA BOREALE .

Seguirono giorni ,e un bel giorno per una commissione fatta a suo padre Giovannino andò a casa dal proprietario delle terre ,li la tata Rosina pronta ad accoglierlo ,a darle quella focaccia che lui s’aspettava di avere ,la fame si sentiva a quei tempi e Giovannino aspettava solo quello , un pezzo di pane pieno di una enorme bistecca profumata ,che meraviglia! La Rosina chiedeva spesso notizie della famiglia di Giovannino e di lui stesso ;chiedeva come andasse a scuola e della situazione economica ?Lui schietto gli rispondeva: si tata Rosina ,non vado molto bene a scuola ,la matematica per me è un disastro ,i numeri non mi vogliono entrare nella testa ,poi la letteratura è un disastro, è farcita di errori grammaticali e quindi sono proprio un asinello, detto in dialetto ,un ciuccio ! E’ come stappare le orecchie ad un sordo, o a un somaro ,non so come fare ?C’è per fortuna un mio amico di banco Giuseppe Picardi che a volte quando non ho fatto i compiti a casa ,mi fa copiare dai i suoi , altrimenti mio padre se ricevo la nota dalla maestra mi riempie di botte ,mentre per i temi e qualche pensiero di prosa me la cavo ,anche se pure li sono un disastro ,in grammatica poi,insomma tata Rosina sono un asino a tutti gli effetti ,mi dovrebbero dare il diploma del ragliatore . Lei paziente e comprensiva gli rispose:

Giovannino non disperare ,fatti aiutare da qualcuno !

Come faccio ?La mia famiglia è povera ,mio padre e mia madre lavorano la terra ,a volte al chiarore della luna per non sudare di giorno sotto il sole cocente .

Capisco disse lei annuendo e chinando il capo dal dispiacere ,sai Giovannino ,questi anni sono anni bui ,in Italia c’è fermento ,c’è la ricostruzione del dopo guerra ed è tutto precario e difficile ,devi capire figlio mio (termine d’affetto usato in quei luoghi) e se tutti ci diamo una mano ,tutti soffriremo di meno e sicuramente arriverà il benessere vedrai. … Sai tata Rosina gli disse Giovannino confidandosi del chiacchiericcio famigliare ,ho appreso dai miei una notizia che mi ha fatto rimanere sconcertato e a dire il vero dispiaciuto quale disse lei?

Il fratello di mia madre ,che fa il militare in alta Italia vuole che ci trasferiamo li ,ci sono molte possibilità di lavoro e si potrà stare meglio .

Rosina attenta ascoltò tutto con la massima attenzione e gli disse che era un bene emigrare in quelle terre e che li noi figli potevamo trovare un futuro e una migliore vita. Giovannino annui e disse poche parole :si tata Rosina dici giusto ,mi sacrificherò anche se dispiaciuto ,sacrificherò lasciando la mia terra ,la mia gatta ,il mio cane lasciarli soli è triste,le mie galline che con le loro uova mi hanno sfamato ,la nostra mucca che con il suo latte al mattino mi ha saziato e dato forza di affrontare la dura giornata ,sacrificherò me stesso dispiaciuto di lasciare il mio luogo nativo ,i miei amici e compagni di piccole avventure ricominciando una nuova vita. La Rosina con la testa china sorrideva e annuiva ma poi gli fece una carezza ,come per dire :quanto bene lei gli esprimesse .Gli dette un bel tozzo di pane con dentro la solita carne impanata , una bistecca alla milanese ,e si che lì si era in pieno sud . Vai ora Giovannino si è fatto tardi e non vorrei distoglierti dai tuoi numerosi impegni .

Si cara tata Rosina si è vero si è fatto tardi devo sempre correre .anche quando la sera torno dal ciabattino per la paura che si fa buio e non posso passare per la strada sdrucciola dove c’è la cappella della madonna delle grazie,la madonna incoronata ,la patrona del paese ,sai ho paura del buio e vorrei sempre la luce del sole o del chiarore della luna … passò qualche anno e Giovannino emigrò con la sua famiglia in Lombardia ,in terra Bergamasca ebbe tanto da quella terra e dette tanto per averlo ,ma questa è un’altra storia un altro capitolo!

Dalle storie di Giovannino
Giovannino dalla nonna .

Come già precedentemente detto Giovannino si alzava presto in quella casa di campagna , molto presto!Sua madre gli preparava la colazione che era fatta di latte, appena munto ,una bella zuppa , con pane fresco fatto da lei nel forno a legna . Dopo un po’ di sbadigli e qualche stiramento Giovannino si preparava per andare a scuola e con sua sorella Giovanna si incamminavano verso il paese di Salza Irpina. Portavano il latte ai paesani ,quelli che ogni giorno lo ordinavano, e con tanta forza e volontà arrivavano al paese stremati da quel peso di quella cesta piena di bottiglie di latte.
Passavano casa per casa lasciando fuori dalla porta la bottiglia di latte piena e ritiravano la vuota e poi con gran fretta la Giovanna tornava a casa, per poi trovarsi con una sua amica per andare assieme a un corso di ricamo ,mentre Giovannino andava a scuola portando con se un mazzo di viole ,di queste già ve ne ho parlato in precedenza quelle che il giorno prima aveva raccolto per la sua maestra .

 A volte quella sua maestra veniva sostituita da un supplente ,un maestro ,molto severo e rigido ,questi aveva sempre con se una bacchetta e a chi non faceva i compiti gli faceva aprire il palmo della mano e giù bacchettate fino a farne rimanere il segno. Giovannino ne faceva spesso di errori ,e come detto aveva una vita travagliata : portava il latte in paese , andava a scuola, poi dal ciabattino al pomeriggio,e la sera con suo padre a fare i compiti fino a tardi , insomma una giornata piena ,tutto ciò gli causava poca concentrazione per gli studi . Arrivò il tempo delle vacanze scolastiche e al mattino si recava da sua nonna paterna ,la nonna Giovanna ,lì si trovava bene ed era ben voluto ,era al centro dell’attenzione ,veniva coccolato da questa nonna Giovanna ,tanto coccolato che lui al fine se ne approfittava e prendeva occasioni per farsi dare le lire 10 , queste gli servivano per andarsi a comprare un cono gelato al gusto di limone ,una bontà che non voleva rinunciare. Non sempre la sua nonna era disposta a dargli questi soldi e lui si arrabbiava talmente forte che prendeva i sassi e gli li tirava addosso , lei impaurita e stizzita da quel comportamento poco serio e ineducato ci rimaneva male.

Un bel giorno non ne sopportò più di quel gesto furioso e si arrabbiò talmente tanto e gli disse testuali parole: caro mio nipote appena viene il carabiniere a comprare le uova ti faccio arrestare ti faccio portare in prigione ,lo disse così seriamente che Giovannino ci credette davvero. Da lì a qualche giorno dopo capitò in cascina il carabiniere ,un omone molto alto con una bella divisa , sembrava imbalsamato tanto era acchitato ,era una persona tutto d’un pezzo, la nonna vedendo questo signore subito gli disse: arresta questo malandrino ,ogni giorno mi tira i sassi !... Vuole da me sempre i soldi per il gelato. 

Giovannino scrosciò in un poderoso pianto ,tanto che per calmarlo il carabiniere lo prese in braccio e gli diede 40 lire . Erano 4 coni gelato da comprare ! Tra se sorrise calmandosi immediatamente. Fu così che da quel giorno non tirò più i sassi alla nonna ,ma gli andava vicino abbracciandola e a dargli i bacini, come un ruffiano insomma ,capì che era il metodo migliore per farseli dare ,cosa che lei solo quello si aspettava da lui. Comprò tanti coni gelato al gusto di limone e se le gustò a sazietà.

La nonna Giovanna nacque a Boston ,in America e con suo padre e altri due fratelli ritornarono a Candida paese in cui poi nacque mio padre ,paese che come detto trovò radici del mio ramo genealogico nel 1650 da Tommaso che venne da Solofra AV. Questa nonna paterna restò vedova dopo la morte del marito , nonno Giovanni ,mio padre era giovanissimo e non ricordò neppure il volto . Conobbi solo il patrigno .

Come detto la nonna Giovanna era molto affezionata a questi nipoti in particolare a Giovannino e a Giovanna ,forse perché erano quelli più grandini e i più presenti a casa sua ,spesso quando la andavano a trovare gli faceva trovare sempre qualcosa da mangiare come pure quando li portava alle gite organizzate ,queste gite erano quasi sempre dirette a santuari di quei luoghi :Monte Vergine, san Gerardo , Pompei e altri … Erano gli anni sessanta ,anni in cui si ricominciava a vivere , ad avere speranza , di ricostruire un qualcosa dopo le bombe degli americani ,e le sevizie fatte alle giovani donne da soldati alleati all’America e alla Francia ,erano porci, non liberatori ,stupravano le giovani fanciulle rovinandogli l’esistenza .

CHE BELLA LIBERAZIONE !

Ne presento testimonianza scritta .



violentate da soldati marocchini tra il ’43 e il ’45 .

Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste, madre e figlia. Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate».
Allora questa parola la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava.
Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne, ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali, vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef), comandati dal generale Juin. Furono migliaia.




Come afferma lo studioso belga Pierre Moreau: “Mai tali tragici avvenimenti sono stati menzionati dalla letteratura storica della seconda guerra mondiale, tanto in quella in lingua francese, quanto quella in lingua olandese ed inglese”. Invece è dimostrato che non fu solo la popolazione degli Aurunci a subire le violenze durante le famose cinquanta ore di «premio» promesse da Juin alle truppe se avessero sfondato la linea di Cassino, ma che il fenomeno partì dal luglio ’43 in Sicilia, attraversò il Lazio e la Toscana e terminò solo con il trasferimento del Cef in Provenza, nell’ottobre del ’44.

Un’altra fondamentale novità che la denuncia e gli studi apportano alla vulgata su questi fatti è che non furono solo i marocchini a macchiarsi di tali nefandezze, ma anche algerini, tunisini e senegalesi. Nonché «bianchi» francesi: ufficiali, sottufficiali e di truppa. E qualche italiano aggregato ai «liberatori».

Quando gli eserciti anglo americani giunsero nel gennaio del 1944 di fronte alla linea Gustav, i loro comandanti certamente non pensarono che la celere avanzata verso Roma, si sarebbe trasformata in una logorante e sanguinosa guerra di posizione.

Nei seguenti mesi invernali, infatti, il generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, si ostinò ad attaccare frontalmente le difese tedesche nel settore di Cassino riuscendo a perdere nell’arco di tre distinte battaglie, che comportarono anche la distruzione della storica abbazia, oltre 60.000 uomini.


A fronte di questi evidenti insuccessi, nello studio tattico di quella che doveva essere la quarta ed ultima Battaglia per Cassino che portò all’occupazione angloamericana di Roma, il generale Alexander decise di tentare una manovra di aggiramento delle difese tedesche.
L’attacco si doveva sviluppare attraverso i monti Aurunici, partendo da Castelforte via Ausonia, monte Petrella, Esperia. Obiettivo finale: il paese di Pontecorvo e la via Casilina. Si sarebbe ottenuto così l’Aggiramento dei difensori di Montecassino.

A svolgere questo difficile e delicato compito furono chiamate le truppe del “Corps expeditionnaire Français” (C.E.F.) agli ordini del generale Alphonse Juin.
Le forze del C.E.F. comprendevano 99.000 uomini per la maggior parte marocchini e algerini provenienti dalle colonie francesi. Completava l’organico una piccola aliquota di senegalesi.

La caratteristica di queste truppe coloniali era l’eccellente addestramento nei combattimenti montani. «Vivere e battersi in montagna era qualcosa di naturale per questi soldati, e un terreno che altri avrebbero considerato un ostacolo era per i nordafricani un alleato».
Questi uomini «selvaggi avvolti in luridi barracani, che per mesi, per impedire che compissero violenze sessuali ai danni delle popolazioni civili, erano stati sottoposti al coprifuoco, ed impediti ad uscire dai loro accampamenti recintati con filo spinato», erano denominati “goumiers”, in quanto non erano inquadrati in formazioni regolari, ma organizzati in “goums”, ossia gruppi composti da una settantina di uomini, molto spesso legati tra loro da vincoli di parentela.

All’alba del giorno scelto per l’attacco, il 14 maggio 1944, il generale Juin inoltrò agli uomini della IIa divisione di fanteria (gen. Dody) e della IVa divisione da montagna (gen. Guillaume) il seguente proclama: «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete».

Tale allucinante promessa venne purtroppo rispettata alla lettera.
Nei giorni che seguirono la battaglia, terminata il 17 maggio con la caduta di Esperia, i 7.000 “goumiers” sopravvissuti (erano partiti all’attacco in 12.000) devastarono, rubarono, razziarono, uccisero, violentarono. Circa 3.500 donne, di età compresa tra gli 8 e gli 85 anni, vennero brutalmente stuprate. Vennero sodomizzati circa 800 uomini, tra cui anche un prete, don Alberto Terrilli, parroco di Santa Maria di Eperia, il quale morì due giorno dopo a causa delle sevizie riportate. Molti uomini che tentarono di proteggere le loro donne vennero impalati.

In una relazione degli anni ’50, che alla luce di recenti ricerche riporta dei dati per difetto, testualmente si legge: «circa 2.000 donne oltraggiate, di cui il 20 per cento affette da sifilide, il 90 per cento da blenorragia; molti i figli nati dalle unioni forzose, Il 40 per cento degli uomini contagiati dalle mogli, oltre 800 assassinati perché accorsi a difendere l’onore delle loro madri, mogli, figlie. L’81 per cento dei fabbricati distrutto, il 90 per cento del bestiame sottratto; gioielli, abiti e denaro totalmente rubati».

La prima notizia di un loro stupro è dell’11 dicembre 1943; si tratta di 4 casi che coinvolgevano – secondo fonti americane – i soldati della 573° compagnia comandata da un sottotente francese «che sembrava incapace di controllarli». Notin annota: «sono i primi echi di comportamenti reali, o più spesso immaginari, di cui saranno accusati i marocchini».

Tanto immaginari però non dovevano essere se, già nel marzo 1944, De Gaulle, durante la sua prima visita al fronte italiano, parla di rimpatriare i goums (o goumiers, come venivano chiamati) in Marocco e impegnarli solo per compiti di ordine pubblico.
In quello stesso mese gli ufficiali francesi chiesero insistentemente di rafforzare il contingente di prostitute al seguito delle le truppe nordafricane: occorreva ingaggiare 300 marocchine e 150 algerine; ne arrivarono solo 171, marocchine.

Dopo lo sfondamento della linea Gustav, la «furia francese» travolse soprattutto il paesino di Esperia, che aveva come unica colpa quella di essere stato sede del quartier generale della 71° divisione tedesca. Tra il 15 e il 17 maggio oltre 600 donne furono violentate; identica sorte subirono anche numerosi uomini e lo stesso parroco del paese.

Il 17 maggio, i soldati americani che passavano da Spigno sentirono le urla disperate delle donne violentate: al sergente Mc Cormick che chiedeva cosa fare, il sottotenente Buzick rispose: «credo che stiano facendo quello che gli italiani hanno fatto in Africa».
Ma gli alleati erano sinceramente scandalizzati: un rapporto inglese parlava di donne e ragazze, adolescenti e fanciulli stuprati per strada, di prigionieri sodomizzati, di ufficiali evirati.

Pio XII sollecitò (il 18 giugno) De Gaulle in questo senso, ricevendone una risposta accorata accompagnata da un’ira profonda che si riversò sul generale Guillaume, capo dei «marocchini». Si mosse la magistratura militare francese: fino al 1945 furono avviati 160 procedimenti giudiziari che riguardavano 360 individui; ci furono condanne a morte e ai lavori forzati.

A queste cifre sicure occorre aggiungere il numero, sconosciuto, di quanti furono colti sul fatto e fucilati immediatamente (15 «marocchini» solo il 26 giugno). Si tratta comunque di alcune centinaia di casi.

Le fonti italiane danno cifre molto diverse. Una ricerca in merito parla di 60 mila donne stuprate. Un numero enorme, spaventoso. In realtà la stima delle vittime non è chiara, ci si basa principalmente sulle richieste di indennizzo delle quali non si conosce la veridicità.
Fu proprio a Esperia che nacquero le prime voci sulla «carta bianca».


Resta il fatto che la disposizione dei francesi nei nostri confronti non era delle migliori: nessuno aveva dimenticato la pugnalata alle spalle del 10 giugno 1940, il bombardamento di Blois senza necessità militari, i mitragliamenti delle colonne di rifugiati a sud della Loira . Però pur ammettendo una certa riluttanza delle autorità francesi nel punire le violenze, la disparità con le cifre di parte italiana resta enorme.
Questi dati si fondano sulle 60 mila richieste di indennizzo presentate dalle donne italiane. I francesi pagarono da un minimo di 30 mila a un massimo di 150 mila fino al 1 agosto 1947.

Da quel momento a pagare fu lo Stato italiano, stornando i fondi dai 30 miliardi dovuti alla Francia per le riparazioni di guerra. Molti problemi nacquero dal fatto che le donne, oltre all’indennizzo, chiesero anche la pensione come vittime civili di guerra e che per legge i due benefici non erano cumulabili. Ne scaturì un groviglio di questioni burocratiche, ritardi, lamentele.

A organizzare le proteste furono soprattutto le comuniste dell’Udi. Nel 1951 un’affollatissima assemblea di donne in un cinema di Pontecorvo affrontò la questione delle marocchinate, provocando un infuocato dibattito parlamentare. Ma, indipendentemente dalle ragioni dell’«uso pubblico della storia», in tutta quella vicenda restano interrogativi pesanti e angosciosi.
Ammettere di essere stata stuprata è per una donna un’esperienza devastante. Eppure furono in 60 mila a farlo. La spiegazione di Notin è raggelante. Su quegli stupri furono messe in giro molte «voci».

Nei paesi colpiti spesso furono i sindaci a raccogliere le richieste di indennizzo e, nell’interesse della comunità, si arrivò a dichiarare la violenza anche quando non era stata subita. Il fatto è che la miseria travolse anche il pudore e le 60 mila marocchinate furono costrette a scegliere lo scandalo e la vergogna di uno stupro «falso» per ottenere i soldi «veri» che servivano alle loro famiglie e alla loro comunità.

Sin qui, dunque, la tragica cronaca dei fatti.
Mentre precedentemente si individuò come unico e solo responsabile il Generare Juin, oggi si può senz’altro affermare che le maggiori responsabilità ricadono su ben altre persone, quali il generale De Gaulle diretto superiore di Juin ed il ministro degli affari economici del governo francese in esilio a Londra, André Diethelm, che nei giorni del terrore “goumiers” si trovavano in Ciociaria per la precisione ad Esperia. Non poterono quindi non vedere come si comportarono i loro coloniali!

Altrettanto evidente, a chi guardi ai fatti con obiettività, è la responsabilità del Generare Harold Alexander, che sentitosi chiedere da Juin l’autorizzazione a mettere in pratica tale scellerato disegno, anziché farlo immediatamente arrestare, diede il suo consenso, limitandosi a contrattare il termine temporale dello scempio (50 ore) senza curarsi minimamente della sorte delle inermi popolazioni. «Per lui l’impresa dei goumiers significava soltanto aver fatto una breccia nelle difese tedesche, attraverso la quale far passare comodamente gli inglesi della 78a divisione, tenuta sinora di riserva».

A fronte di quanto detto, si può certamente sostenere che non si trattò di azioni casuali e sporadiche, derivanti da una concezione ancestrale e tribale della guerra propria dei nordafricani, come qualcuno in passato ha affermato.
Vista la presenza in quei luoghi del comandante del Comitato di Liberazione Nazionale francese (De Gaulle), di un ministro del governo francese (Diethelm), e visto il consenso di Alexander, anche se mancano prove documentali, non si può non esser legittimati a pensare che tale infame azione possa essere stata pianificata direttamente al tavolo dello stato maggiore alleato.

Ancor più comprensibile è che le istituzioni repubblican-resistenziali abbiano relegato per 50 anni questi episodi in un angolo oscuro della storia, viste le evidenti e dirette responsabilità nei fatti sommariamente descritti.

Non si deve dimenticare che il 13 ottobre del 1943 il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania, divenendo il cobelligerante degli angloamericani, e dunque corresponsabile delle azioni dello stato maggiore alleato.
A riprova di quanto affermato, sta il fatto che, per quanto se ne sa, in merito a questi episodi mai fu sollevata una protesta da parte del governo di Unità Nazionale presieduto da Ivanoe Bonomi, così come del resto nulla è stato fatto dai vari governi nei 50 anni successivi, per “loro” i fatti della Ciociaria non sono mai accaduti.


A tanti anni di distanza questo crimine, così come tanti altri, le foibe, il massacro dei bimbi di Gorla, il lancio delle penne esplosive e delle bombe a farfalla, i delitti commessi dai partigiani, non possono essere taciuti solamente perché commessi dalla parte vincitrice.
Articolo preso da www.pacioli.net




Ma continuo il racconto di Giovannino . il mio !

Fu in una di queste gite ,questa volta al mare ,a Castellammare di stabbia ,vicino Napoli ,che la nonna Giovanna come al solito preparava il cibo al sacco: prendeva una panelle,un pane di dimensioni molto grandi ,lo apriva a metà e in mezzo ci metteva una enorme frittata .Arrivati sul posto e al momento del pranzo di solito tutti gli altri andavano al bar o a un ristorante ,ma visto che allora quelle gite erano anche precarie per la scarsità di denaro ,la nonna prendeva posto a sedere dove gli capitava .

Prese posto a un tavolino di un bar senza nemmeno chiederne il permesso ,lì sopra metteva l’enorme pane imbottito ,lo tagliava in tre parti ,una parte per lei ,una per Giovannino e per la Giovanna sua sorella ,ma al momento della sete Giovannino chiedeva sempre alla sua nonna da bere e voleva la gassosa , lei ostinata gli voleva fare bere acqua del rubinetto,o perfino la chiedeva gratuitamente al barista che questo sbalordito la guardava, come dire :da dove arriva questa !Da prima ci rimaneva meravigliato poi sorrideva e l‘accontentava ,ed era sempre una lotta come quella del gelato ,uguale,naturalmente alla fine vinceva sempre Giovannino . Queste gite restano il ricordo più bello di quella nonna che in quegli anni sessanta gli hanno segnato un tempo felice ,e gli hanno dato un sorriso ,quel sorriso che porta con se in terra bergamasca ,che a volte viene addirittura frainteso .La nonna fino all’ultimo ha voluto bene ai suoi nipoti ,specialmente a Giovannino che al tempo della sua morte si è recò a darle il suo saluto Sempre ad abbracciarla nel suo pensiero ,anche se lontana in terra Campana.


Capitolo 3





Dalle storie di Giovannino.

Gloria e passione di una vita.


In questa parte più che un racconto è una introduzione del personaggio Giovannino ,un seguito per conoscersi , quindi si parlerà,vi parlerò del suo paese,il mio , e di un po’ di storia genealogica della mia famiglia Maffeo , la mia! In poche parole chi non lo ha ancora capito Giovannino sono io il narratore,solo che mentre mi racconto mi piace parlare in seconda persona .



La mia terra

La mia terra parla di vita ,

di sole ,di acqua sorgiva

parla d’amore ,di gente genuina ,di una pasta e fagioli

di terra sfama …

parla di giovinezza e fratellanza

di un abbraccio e tanta confidenza ,

di un bicchiere di vino buono ,

l’aglianico ,che inebria il sangue nelle vene.

Parla di storia antica e di Normanni 

di un castello e chiese longobarde ,

parla dei miei avi ,della mia famiglia

che nel medio evo li un ramo si diffuse ,

di un casale , la contrada Piscarielli

dove le sorgenti dissetavano i passanti ;

di me io suo figlio il candidese senza pretese.



E dopo questa piccola poesia che mi è venuta di getto vado a parlare di Candida ,cerco di essere breve e conciso .
Questo paese è il paese di mio padre dove per secoli la mia antica famiglia ebbe residenza ,come detto e scritto più volte la mia discendenza genealogica è greca e per molti anni i miei antichi progenitori furono personaggi di una certa sostanza economica e di grande lustro .

Comincio col dirvi che il primo condottiero fu LUTIO DE MAFFEO ,cavaliere dell’imperatore Costanzo venuto in Italia dopo il settanta DC col suo potente esercito da Bisanzio Grecia ,i suoi discendenti furono consoli ,uomini di legge ,giudici e faccendieri ,battiloro e oro pellai,fabbricanti di ferro e uomini di governo ,ma innanzi tutto furono letterati , vedi MAFFEI CAMILLO ,SCIPIONE , RAFFAELLO DETTO IL VOLTERRANO e molti altri che troverete nelle varie scritture dei tempi . La famiglia dopo le varie battaglie ebbe lustro in Roma ,rami di essa si stabilirono a Volterra dove fondarono la casata de Maffeo ,nobili Maffei da li nel 850 DC. 

furono consoli di quella repubblica aristocratica e vari rami si diffusero in Toscana ,in Veneto a Verona ,in Lombardia e in Piemonte ,e da un ramo Toscano esattamente di Siena nel 1250 alcuni della famiglia ebbero l’incarico di “giustizieri” giudici – dal re Manfredi re di Napoli a presidiare nelle località del regno . Ebbero le baronie di Lanciano ex principato citra (ABRUZZO) e di Salerno ( CAMPANIA) ramo di cui io ne faccio parte .Furono quindi baroni e svolsero le loro attitudini con dovere e giustizia ,ancora oggi resta un ramo di questi molto attivo e di grande merito. Ma torniamo a Candida ,essa è situata su un grande colle e da li domina tutta la vallata dei quattro punti cardinali, posto strategico per le guerre di quei tempi . 

Infatti all’epoca dell’impero romano ,il territorio di Candida ricadeva nella civitas Abellini,iscritto alla tribù Galeria e con la dissoluzione dell’impero romano e l’invasione dei barbari il territorio Irpina fu conquistato da Flavio Belisario (generale bizantino ) nel 536 DC e poi da Totila,nel 543 comandante in capo delle truppe Gote in quelle epoche fece pure distruggere e saccheggiare Firenze, e infine l’antico toutiks HIRPINUS ( il luogo Irpino ) fu definitivamente sottomesso ai bizantini. arriviamo veloci al periodo Longobardo dove questo nobile popolo lascia tracce scritte e da notizia documentata di Candida nel 1045 quando rientrava come casale nella contea di Avellino.

Per le notizie riguardanti il castello risalgono alla metà del 1100 DC dal catalogo dei baroni ,compilato dai Normanni all’indomani della conquista del sud Italia , e fu appunto il primo Normanno Alduino Filangieri ,figlio di Ruggero ,figlio di Oldoino delle genti Ortomanne e cioè Normanne ,a comandare il feudo di Candida .

Ancora oggi nella chiesa di candida ai piedi del sacrato c’è la sua lapide e la sua tomba sacrale . Molti i monasteri e le chiese antiche su quel monte che si respira aria pura la mia gente visse felice in un casale e dalla terra al pane ,lasciato dal progenitore Tommaso nel 1650 da Solofra sempre in provincia di Avellino ,in queste terre la mia gente vissero fino il 1850 ,da li le spartizioni e le varie emigrazioni ,in America ,in Belgio ,ed io a Bergamo negli anni 60 . 

Di seguito nei vari racconti di Giovannino ne faccio menzione e li metto in evidenza e ne do dettagliata memoria ,ora voglio divagare un po’ sperando di non annoiarvi. Il mio racconto va oltre ogni immaginazione ed esprime i miei stati d’animo riscontrando e confrontando la vita vissuta e quella che mi resta da vivere nel corso degli anni: racconto di me ,di come intendo la filosofia .come un apprendista alle prime armi. Molti si chiedono se è difficile sentirsi o essere filosofi ,a mio avviso è come sentirsi un uomo che considera la vita seriamente ,la vita a mio modo di vedere le cose è filosofia. Da questo modo di essere ,questo modo comportamentale di orgoglio non minore ,si chiama poeta! Se vogliamo ,un banditore del vero .

Filosofo e poeta si sentono investiti da una missione ,come una specie di apostolo che professa l’autorità e la sicurezza di chi possiede la verità.

Così in una mia vecchia poesia (la giostra della vita )esprimo rammarico per questa verità,se vogliamo nascosta ,donata a pochi ,non ricercata da altri quindi torniamo a quei giorni,torniamo ai credenti. Questa piccola parentesi e rivolta a coloro ,a chi ha un seguito nella vita ,una speranza !Si fa banditore di se stesso ,di verità e sincerità,quindi si vuole precisare che da questo concetto chiamiamolo filosofico ,nasce la poesia che è ragionamento e esortazione di un semplice pensiero .

… si dice che per essere poeta devi credere all’immaginazione e devi avere fede nel prossimo ,la fede è la base ed è sottinteso che le condizioni preliminari è la necessaria poesia ,si può essere un santo,un apostolo ,un filosofo ,per alcuni soltanto la fede del credere e svegliare mirabili facoltà poetiche . Nel mio caso come già scritto in poesia e in cenni di prosa narrativa e genealogia ,la ricerca della verità è scaturita la mia poesia ,direi semplicemente come un lampo a ciel sereno ,quindi a mio avviso qualsiasi individuo che coglie e raccoglie ed è alla ricerca di qualcosa che non trova ,ma sente dal profondo del suo animo o desiderio ne può fare espressione poetica.

Dalle storie di Giovannino
Giovannino fa le valige.

Gli anni passavano come il vento e l’infanzia era oramai alle spalle ,si faceva avanti l’adolescenza con i suoi primi sintomi di frenesia ove i profumi affioravano il sentire di Giovannino .Il cambiamento era nell’aria ,come la musica ,il vestire ,la voglia di vivere quell’epoca del dopo guerra .cominciavano gli anni sessanta ,un’era che ha segnato la storia .Forse è troppo presto di parlare di valige ,perché Giovannino prima di andare via dal suo paese ha molte altre storie della sua infanzia da raccontare .In questa prima parentesi si dà accenno al suo tempo in cui si fecero i preparativi per emigrare in terra Bergamasca ,infatti tende a portarsi avanti per poi tornare indietro ,ma che comunque altre storie sue vi verranno narrate . 

Dopo il lungo inverno passato alla casa di campagna Giovannino si prepara con i suoi a emigrare in terra bergamasca , era l’inizio della primavera e le prime gemme spuntavano dai rami ,si accorse che molte erano le cose da fare :salutare gli amici ,quelli con cui aveva trascorsi momenti felici ;c’èra Amedeo Falgidano ,Giuseppe Picardi , amici stretti ,amici per la pelle ,quante le avventure fatte assieme ! Di recarsi a Candida paese di suo padre a salutare la zia Francesca e lo zio Luigi Cavallone e i suoi cugini ,la sua nonna Giovanna Cutillo , la nonna paterna, che in quel tempo era ritornata al suo paese di Candida ,lei nacque comunque a Boston in America ,poi tornata in Italia con suo padre che emigrò negli anni precedenti alla sua nascita .

Giovannino oltre che andava dalla sua nonna ,doveva recarsi dal ciabattino e salutare tutti ,insomma un da fare che ci volevano giorni per completare tutte quelle visite . Lasciava la sua amata terra e nel cuor suo c’era un velo di tristezza ,capiva che lasciava qualcosa di cui lui ne era innamorato , la gente con cui aveva condiviso il bello della sua prima infanzia ,le prime emozioni e gioie ,le scorribande nei campi e le varie corse che spesso aveva fatto giù per la strada sdrucciola dove c’era ,c’è la chiesetta della sua madonna ,la madonna incoronata ,dal viso dolce ,col suo bimbo imbraccio e la corona sulla testa ,spesso chiamata da Giovannino , la Madonna incoronata , li a pochi passi il laghetto dove con gli amici passavano momenti a guardare le rane i Gerini appena nati ….
Correva Giovannino ,correva ancora lungo quella strada ,correva e non lo fermava nessuno ,correva tra il vento e la pioggia tra le foglie che l’autunno si era lasciato alle spalle e l’erba fresca appena germogliata ,tra i primi ciclamini e i canti di uccellini che annunciavano la nuova primavera ,sentiva in se una nuova vita e a quella prossima che lo attendeva . Dopo aver salutato tutti ,un pomeriggio di una giornata di sole si recò nei campi dove suo padre aveva lavorato ,si avvicinò ad ogni albero di frutto alle viti ai ruscelli ,ad ogni angolo dove lui era stato e passato momenti di quiete di armonia dove lui ne aveva raccolto gioia e si era sfamato con i frutti e la sua sete e fame ,si recò sull’aia e ballò la danza dell’addio .

Pianse e rise e girandosi intorno guardò il cielo azzurro mentre l’aria fresca lo invadeva e colse l’abbraccio del sole. Colse l’attimo del cambiamento che per lui incerto ma sorprendente .Aveva solo dieci anni Giovannino a quell’epoca e un altro mondo lo attendeva ,altre strade da percorrere altre storie diverse da raccontare ,di un tempo fanciullo ,di nuovi amici ,di un inizio che ancora in lui era sorpresa e non sapeva cosa lo aspettasse ,recarsi in una città del nord Italia era per lui una enorme meta ,come se fosse una montagna da valicare ,da raggiungere quasi a piedi ,e si,che lui di corse ne faceva,era il più veloce del paese che a quei tempi solo lui e un altro dal nome Gerardo erano capaci , anche lui rosso di capelli ,e nelle gare che facevano intorno al paese quasi sempre uno dei due vinceva . 

Lasciava la festa patronale ,i fuochi d’artificio ,le bancarelle e il muso del maiale ,questo cotto veniva mangiato con il limone ,lasciva le luci colorate che in quella ricorrenza venivano messe in tutto il paese ,la banda che suonava sul palco e i cantanti che allora rallegravano le serate di festa , questi erano cantanti famosi che negli anni sessanta giravano al sud ,per le feste patronali ,lasciava la sua chiesa dove piccolino si recava a pregare ,il monte Serrone , i santuari che la sua nonna gli aveva fatto conoscere,il monte Vergine ,il monte sacro, dove i devoti facevano voto di penitenza recandosi su a piedi .

Lasciava la sua micia ,il suo cane ,che capiva che se ne andava e gli faceva le fusa,il suo cane gli scodinzolava la coda e faceva bau,come dire:perché te ne vai? La stazione dove spesso si era recato per andare al cinema ad Atripalda un paese limitrofo ad alla città di Avellino ,rivedeva la fattoria della nonna Giovanna e quella della nonna Luisa e nel suo stomaco tutto si ristringeva ,ma oramai era un giovanotto con una folta chioma riccia si sentiva un uomo o quasi.

Arrivato il giorno della partenza e preparatosi la sua valigetta di cartone con pochi panni dentro e poche cose sue personali ,lui e la sua famigli si incamminarono a piedi alla stazione del suo paese Salza Irpina a prendere il treno per Avellino ,da li poi per Napoli e da Napoli a Milano per poi seguire il percorso per Bergamo .

Giovannino partì da quella terra nel lontano 1961 e fu ospite in terra bergamasca ,seguiranno altre storie che narreranno i precedenti e i proseguimenti ,altre avventure ,l’arrivo alla città antica della bella città di Bergamo.

Altra mia poesia. 

Il revival della vita .

Riprendo un concetto ,una ragione d’essere,
di noi un tempo ,la gente fa la storia!
L’ etrusco significato che rinasce e vive,
dai stereotipi che elogiarono gli ignoti ,
i trascorsi restano i passati.
E allora! Fai girare quel vecchio giradischi!
Balla e torna nei nostri anni ;
ai baci rubati ,che nel buio ballavano il lento,
sempre più stretti ,mano nella mano.
Fu l’inizio dell’epica stagione !
Eravamo negli anni del sorriso
dei primi amori e palpiti di cuore,
non c’era il cellulare;
l’anima, massaggiava col sol pensiero.
C’è tanta indifferenza da allora :
cani al guinzaglio fan gioire i padroni,
in prima linea è la guerriglia urbana;
il cannibale morde la sottana.
Ed io canto la vita!
A mio parer dico :
il mondo gira, gira e và lontano,
sei tu la femmina ed io il cialtrone .
E mi consoli e fai la preziosa
con fiori amari vai nella chiesa;
preghi l’ave o Maria ,i sette peccati capitali ,
preghi per chi ,ti liscia il pelo.
E ancora:come una gatta morta strisci intorno al palo
danzi l’eleganza mostrando il piacere,
porti le calze a rete e sei sensuale ;
ti depili l’intimo ,lì ,il maschio fa furore.
Il revival della vita va avanti
per i futuri che sono già presenti,
noi ragazzi ,i figli dei fiori ;
siamo la canzone , la bella poesia .


Le storie di Giovannino
Il viaggio nei ricordi della mia vita.


Seguendo la parte seconda del racconto di Giovannino ,seguo il pensiero,il mio! la filosofia spicciola e altri concetti e biografie sui luoghi dove Giovannino ha vissuto .

.Nella precedente ho evidenziato i luoghi dell’infanzia e vi ho parlato di Candida ,ora vi parlo di Salza Irpina ,paese dove è nato(sono nato)J Qui suo padre incontra sua moglie la mamma di Giovannino (i miei genitori) Alle falde del monte Serrone,in una ridente vallata troviamo Salza Irpina ,che diede i natali a Giovannino ora col suo nome d’arte “Poetanarratore “ in questa località collinare a 540 metri sul livello del mare di altitudine. Fu qui che Giovannino a quei tempi ,anni 1955 e oltre frequentò i fabbricanti di scarpe ,che in quella epoca erano fiorenti ,i famosi “ciabattini “ ad oggi resta poco di queste botteghe artigiane e nel seguito seguirà un racconto su di essi . 

L’origine del nome resta alquanto curioso :Salza diverrebbe da salsa un sostantivo femminile di Salsus ( Salato ) e non di salsa di pomodoro come alcuni intendono ,ma ben si da un riferimento d’acqua sodica – clorurata dalla quale anticamente si estraeva il sale. Se verissime sono le sue antiche origini ,Salza ebbe insediamenti Romani e ne fa memoria il Papa Innocenzo secondo e nel 1137 e l’imperatore Lotario rientrava tra i possedimenti di quelle terre . Poi del longobardo Raidolfo,conte di Avellino e nel 1139 al tempo della sua morte subentrò il conquistatore Normanno Ruggero. Numerosi furono i feudatari che seguirono : tra gli ultimi i Capozzi che ebbero lustro e molte terre di cui il famoso Giuseppe Capozzi il proprietario delle terre dove mio padre lavorava la terra a mezzadria .

Altro: resta ed è un fiorente paese ai piedi del monte Serrone e in lontananza siede ai piedi di Monte vergine ,con un bellissimo clima e tanta bella natura.

Seguo il concetto filosofico intrapreso nella parte seconda:

si parlava di come scaturisce la poesia e altri comportamenti filosofici da qui comunque qualcosa si sussegue e segue spontaneamente nel processo della propria esistenza di Giovannino ,si vuole evidenziarne i motivi di queste scritture che comunque in tutti gli esseri umani è palese raccontarne i significati ,e che a mio avviso sono tanti:ad esempio uno dei motivi può essere l’amore per una donna ,per la natura ,per gli animali per ideali politici e non ,e atre forme di ammirazione e affetti . 

Tutto si manifesta spontaneamente come già detto ,in un periodo non calcolato della vita di Giovannino, di ognuno ,molti lo raccolgono e ne fanno memoria ,altri lo ignorano rifiutando l’importanza ,io direi che è un completamento della vita terrena ,dove si rivela la propria fantasia ,l’essere io entra in un mondo di concetti e saperne i significati ne diviene narrativa,romanzo ,difatti da queste scritture diviene un lavoro di trasformazione analitica

A non viene seppellito o dimenticato ,ma assorbito! e non solo dalla conoscenza ,ma dalla storia e l’individualità dell’essere .Sono convinto che qualsiasi essere umano possa applicarsi a questi concetti e a come ne deve cogliere il momento propizio in cui si presenti . Continuo a rappresentare i miei pensieri ,la mia poesia e spesso mi faccio domande : quale è il piacere ? Secondo me se si vive solo per cercarlo resta una scarsa e squallida esistenza ,se ne può dedurre che non esiste solo il piacere ma una ricerca interiore di sentimenti puliti e di emozioni sincere,qui la parola ,la poesia trovano spazi immensi.

Le emozioni contribuiscono a una migliore esistenza e si manifestano in diversi modi :gioire per una donna !Dare un flusso di stimolo al proprio corpo ,gioire per aver concluso un periodo di lavoro fatto di sacrifici e stenti ,di aver dato ai figli quel aiuto necessari a farli camminare nella vie del mondo ,diventare nonno ed essere orgoglioso dei nipotini ,assieme ad essi ritornare bambino ,godere di un attimo e condividere una avventura ,un processo vitale che fa continuare a vivere …

Capisco che molte cose nel matrimonio ad oggi sono cambiate ed è appunto la necessaria emozione a risorgere e dare stimolo per continuare. In una delle mie poesie mi esprimo dicendo: Bella la vita! poi seguo , che bella! godere ogni istante di essa ,molti la vivono nelle tenebre che nella luce ,persone sofferenti di un passato alle spalle travagliato e cercano attenzioni per essere considerati ,con una umile umiltà.

Dalle storie di Giovannino
Il primo amore in fiera .

O meglio la prima infatuazione .

Nella ridente Salza Irpina i ciabattini la facevano da padroni e come detto erano gente semplice ,allegra che spesso e volentieri si riunivano e facevano feste tra di loro ,tra essi Giovannino non poteva mancare ,era il prezioso servo che adempiva ogni servigio del gruppo ,il bambino prodigio che era disponibile ad ogni evenienza e prestazioni di favori verso chiunque lo comandasse . Era di ottobre e lo zio Mario marito della sorella della mamma di Giovannino fece vendemmia ,raccolse quell’ anno molta uva e avendo in paese un locale adibito a fare il vino si organizzò e ne fece molti litri. 


Faceva il mosto e strizzare le bucce, il succo usciva frizzante di un colore invitante(il vino) veniva poi decantato e filtrato per i residui deposti e poi messo nelle botti a riposare .In quell’ anno lo zio Mario ne fece talmente tanto che volle venderlo alla (frasca) o meglio :vendita diretta al pubblico ,un tipico sistema per far socializzare ,operai e gente d’ogni ceto sociale a fare bere un buon bicchiere di vino .


Fu in una di queste festa nella casa di uno di loro appena accanto a questa vendita di vino che Giovannino prendeva occasione di presentare a loro,i ciabattini ,suo zio, andava e tornava con bottiglioni pieni di vino che i ciabattini ne bevvero a volontà cantando e ubriacandosi e nei vari tragitti Giovannino ne assaggiava sempre un po’ anche lui ,e a forza di assaggiare e bere a sorsi si sentiva allegro e frizzante pure lui, alla fine si ubriacò e lo zio vedendolo rideva ,contento di aver venduto tutto quel vino .


Di quel zio ne ha bellissimi ricordi ,uno zio preso come si dice ,che nel tempo gli volle molto bene .Morì in età matura , non vecchio e Giovannino lo tenne sempre nel suo cuore. Altri episodi seguirono , si manifestarono nel periodo di carnevale ,si formavano come al solito sempre un gruppo di persone e ad ognuno il suo compito di vestire la tipica maschera :chi di arlecchino ,chi di pulcinella ,addirittura Balanzone che su di un cavallo bianco dominava e conduceva il gruppo mascherato , si portavano nelle vie del paese ,cantavano in allegria e manifestavano la tradizione carnevalesca .Era una ricorrenza festosa e ben organizzata dove tutti i bimbi ne gustavano allegria .


Che dire poi dei mercati e delle fiere che questi artigiani scarpari che andavano per i paesi Irpini delle scarpe :
Giovannino era piccolo alla sola età di sette anni ebbe il consenso di suo padre e lo lasciava andare con alcuni di questi in fiera ,se era un mercato si tornava a casa nella stessa giornata ,se era una fiera ,si restava più giorni:tre o quattro giorni .Si caricava la macchina ,allora c’era la balilla ,il modello della fiat ,il più grande! Un modello con i parafanghi alti e le ruote grandi ,sembrava una rols con un grosso baule e con sopra il porta pacchi per caricare il tendone .Una volta sul posto si montava la tenda e si preparava il banco dove venivano messe le scarpe in esposizione per la vendita,un lavoro che richiedeva tanto impegno e fatica e Giovannino instancabile si dava da fare ,si sentiva partecipe e importante come se fosse lui il padrone della melonara .Fu in una di quelle fiere ,
e nel banchetto accanto anche questi vendevano scarpe ,la concorrenza insomma, altri erano gli articoli più moderni, con modelli diversi da quelli venduti da noi ,e più alla moda .

Li vide una fanciulla e fu un solo sguardo a colpirlo,ci fu un saluto ,un semplice ciao e da quel ciao si cominciarono a sorridere ,Giovannino divenne rosso come un peperone ,già rosso per sua natura per i suoi capelli rossi che aveva ,sembrava prendesse fuoco da un momento all’altro ,la fanciulla piccola come lui era bellissima e sicuramente avevano la stessa età ,credo otto anni all’incirca ,si scambiarono diverse parole e fecero subito amicizia ,si raccontarono di loro, da dove venissero e cosa facessero tutto prese una certa confidenza come se si avessero conosciuti da sempre. 

Ogni sera le tende dei mercanti venivano coperte e chiuse e per dormire ci si arrangiava alla meglio sotto di esse con coperte e scatole di cartoni ,restava comunque il tempo per fare anche una passeggiata per il paese ,e in una di queste passeggiate Giovannino trovò la fanciulla ,felice gli parlò e lei pure ,le diede la mano che con un sorriso lei la strinse ,videro entrambi le stelle , quello fu il primo attimo di emozione ,di adolescenti bambini che sentivano già allora il desiderio dell’amore. Tutti i giorni per ogni giorno che seguirono la fiera gli sguardi si fecero roventi ,il cuore di Giovannino batteva impazzito come se stesse su un altro pianeta ,sguardi che venivano contraccambiati con sorrisi in fusioni e parole dolci ,si raccontarono di tutto di loro ,della scuola del loro paese ,di come e dove vivevano ,ma si persero alle prime luci dell’alba di un mattino,di quel mattino che dovettero togliere le tende e partire per andare ognuno al suo paese ,non restarono indirizzi e ne appuntamenti ,solo un sorriso di una bella fanciulla che per la prima volta fece sognare a Giovannino.

Dalle storie di Giovannino
Giovannino all’asilo.


Introduzioni e accenni di altri racconti per chi non avesse letto i precedenti capitoli, ve ne faccio sintesi: in tutti questi piccoli racconti si vuole evidenziare non solo il personaggio Giovannino ,ma le figure retoriche di uno stato d’animo di uomo bambino ,di un luogo a me caro che è l’Irpinia la mia terra natale , esaltare quindi il bello di quello che era un tempo e la vita in quei luoghi ,raccontare un quotidiano vissuto nel dopo guerra e la sua ricostruzione. 


Ci tengo a sottolineare le uguaglianze nominali d’incipit a “Giovannino senza paura” la mia storia ,”la storia di Giovannino” non ha nulla a che vedere con essa.Detto questo appunto procedo a dare delle sintesi degli altri racconti.Presumo che qualcuno di voi ricorda il Giovannino dal ciabattino?Quando con le lire mille guadagnate settimanalmente ne comprava mortadella alla bottega del paese ,e di corsa si recava a casa dalla mamma per poi assieme alla sua famiglia mangiarla col pane ,che sua madre stessa sfornava caldo dal forno .

Si ,era buono quel pane sudato dalla terra , quando la mattina faceva colazione , con il latte appena munto, e di corsa con la sorella in paese a distribuire bottiglie di latte a chi le ordinava,quando di corsa correva sulla strada sdrucciolata e passava davanti la chiesetta della Madonna Incoronata e in fretta recitava la preghiera : l’ave Maria, quando si fermava al piccolo laghetto per vedere i piccoli girini , i figli delle rane ,quando con i suoi amichetti a far bisboccia nelle feste patronali e vedere a tarda notte il bello dei fuochi d’artificio ,quando l’orchestra musicale si esibiva lungo le strade del paese,il cinema in piazza e i cantanti noti di allora ,il grande pallone di fuoco che in alto si elevava.
per poi parlare dei dolci delle bancarelle ,il melone bianco e il muso del maiale cotto con il limone ,e poi ancora la sfida con la nonna per farsi dare le lire dieci ,e comperare il grande cono gelato al gusto di limone .

“Giovannino all’asilo”
Pensate ,avevo solo quattro anni ,e a questa età matura i ricordi sono ancora limpidi come se le avessi appena vissuti . Erano gli anni 1954/5 ,era piccolo Giovannino ,aveva appena quattro anni ,si incamminava a volte solo dalla casa di campagna, a volte correva per andare all’asilo del paese di(Salza Irpina). Era una asilo appena costruita in anni del dopo guerra ,una bella struttura molto accogliente ,che a quei tempi poco erano le nuove ,come poche le case belle . 

Lui piccino al mattino presto con il grembiulino bianco e il nastro rosso , la bella suora lo aspettava come altri bambini sul portone dell’ingresso ,era molto bella dal nome “SUOR CANDIDA” una bella figura di donna :alta con il viso ovale ,sembrava un angelo ,aveva attenzioni verso Giovannino e ogni tanto qualche carezza gli faceva contraccambiato da Giovannino con un bel sorriso e tanta timidezza .Arrivò il tempo di fare festa all’asilo ,come si usa ancora oggi .Arrivò il momento dello spettacolo annuale di tutti i bambini e sul palco tutti vestiti di carta colorata a cantare e recitare assieme le canzoncine .Ci andava volentieri Giovannino perché lì si mangiava bene ,pietanze mai assaggiate ,molto buone, tanto piaciute,gli davano perfino la merendina una delizia … Già la merendina !

Gli restò impressa quella merendina che quasi mai la mangiava ,la portava alla figlia del ciabattino dove lui per ordine del suo padre doveva stare lì tutto il pomeriggi per non fare birichinate con altri amici sulle strade.Era una bimba più piccola di lui e gli voleva molto bene ,si chiamava Giovanna e ad ogni qual volta che Giovannino andava da le gli chiedeva la sua merendina ,lui a malincuore gliela dava ,non sapeva dirgli di no ,nonostante la fame che lui stesso aveva. All’imbrunire della sera dopo aver lavorato da questo signore ciabattino ,il padre della bimba!E dato attenzione alla piccola Giovanna sua figlia ,di corsa a casa . 


Nel suo percorso non passava dalla strada sdrucciolata perché a quell’ora era buio e ma dalla strada soprastante ,che comunque dalla stessa ,dall’alto vedeva la chiesetta della Madonna incoronata e recitava lo stesso in fretta la sua preghiera .Non passava volentieri da quella strada liscia ,era molto trafficata da macchine, e poi c’era un strano detto che a lui rimase impresso: (non andare sulla strada liscia perché c’è il diavolo che piscia) vai per la strada (sdrucciola perché c’è la Madonna che cuce) Detti popolari che servivano a dare quel senso rispetto.Giovannino dopo una giornata molto animata ,
stanco mangiava la sua cena e si sedeva con i suoi genitori e gli altri fratelli e sorelle vicino al camino.Si raccontavano storie e si facevano progetti in prospettiva per un prossimo futuro. Per poi crollare in un profondo sonno e sognare un volto,il volto dell’anima che in lui benigna gli appariva .

Dalle storie di Giovannino .
Giovannino va al cinema .


Forse mi illudo che con questi scritti serviranno a cavarci qualcosa di buono ?A sperare che in un prossimo futuro qualcuno si accorga di essi ,di me ,di poter prendere in considerazione la possibilità a farne qualcosa di bello.Spero e mi chiedo: pensate solo per un attimo se un regista ,un imprenditore teatrale ,insomma uno che conta nella televisione o nel cinema si accorgesse e volesse estrapolare una forma scenica e dove verrebbe rappresentare il personaggio Giovannino ,farne un film in luoghi ,i tempi di quella Italia contadina,con i suoi odori e sapori,i costumi e gli abiti di quei tempi ,la cultura e l’ignoranza ,il bene e il male,la socialità e la solarità di quei personaggi ,i luoghi ,lo scenario della vallata Irpina ,il monte vergine e il suo santuario ,tutto ciò si rappresenterebbe in un scenario meravigliosa ,ma tutto ciò è un sogno e come tale chissà si può anche realizzare .So che pretendo troppo ? ma chissà la speranza è l’ultima a morire ,immaginatevi di vedere in filmato di queste storie di Giovannino ,io diverrei famoso e voi orgogliosi di avermi letto. Lo so spesso divago forse è la malattia del poeta ?Che ne dite voi? Ora vi ho annoiati abbastanza ,passo subito al prossimo racconto.


Giovannino va al cinema. 

A volte la paghetta settimanale del ciabattino non bastava ,non era sufficiente per fare tutto : comperare le acciughe a suo padre, la mortadella, i cioccolati rivestiti di figure natalizie da appendere sull’albero di natale ,a volte si aggiungeva il cinema e la spesa del treno ;Insomma le cinquecento lire a Giovannino non bastavano e cosi accettò l’offerta di un altro ciabattino che era nello stesso paese di Salza Irpina e gli ne dava mille e a malincuore decise di lasciare il vecchio ciabattino,di lasciare la piccola Giovanna che aspettava con ansia la merendina che Giovannino le portava figlia appunto di (Giovanni Marinelli) Andava da Alfonso un altro ciabattino non molto lontano ,anche lui abbastanza di buon cuore .Lì però bisognava lavorare di più,e c’era più paga più lavoro .

Comunque per fare quadrare i conti delle piccole esigenze di Giovannino le mille lire ci stavano bene ,altrimenti bisognava rinunciare a qualcosa perché da sua madre e suo padre poteva scordarseli ,come pure dalla nonna che per farsi dare dieci lire erano tante le battaglie da fare. Insomma risolto il problema del denaro spesso e volentieri Giovannino andava con amici al cinema ,a volte con i ciabattini in occasione dei grandi film :ad esempio i dieci comandamenti, Davide e golia, e molti altri che ancora ad oggi sono attuali ,erano,sono, film di capolavori americani,allora l’America veniva vista come un luogo immenso di fortuna e di prosperità, salvatori della patria nostra,che dire su questo : nella ricerca genealogica da me fatta sulla mia casata Maffeo, nobili Maffei ho saputo che molti monasteri archivi e altre strutture antiche furono bombardati nell’ultima guerra mondiale nel 1945 ,forse gli obiettivi erano mal gestiti o sbagliati ,fatto sta che ci trovammo un bel pò di distruzioni con documenti bruciati e dispersi grazie a questi salvatori .

Comunque passiamo a Giovannino che è meglio!Come dicevo a volte i ciabattini portavano Giovannino al cinema e pagavano loro ,mentre se andava con gli amici gli toccava a lui pagare .Fu una domenica come le tante ,dopo presi accordi con gli amici che come detto lui abitava distante dal paese in un casale chiamato casino ex casa di caccia dei signoroni ,mentre i suoi amici abitavano in paese e vicini alla stazione ferroviaria di Salza Irpina ,si trovavano in un punto stabilito a metà strada .La sua mamma preoccupata voleva impedire Che lui andasse ,ma non c’era nulla da fare ,era talmente euforico e sicuro di se che a tal punto neanche sentiva le sue parole . Si prendeva il treno e si arrivava al paese di Atripalda ,paese confinante con la città di Avellino,li c’era il cinema Ideal di un certo Troncone .

Questo signore nel periodo delle feste patronali faceva cinema all’aperto nelle piazze dei paesi in occasione delle feste patronali ,e anche qui era una gioia parteciparvi: ognuno si portava da casa una sedia e nella preparazione del telone e i vari altoparlanti la musica accoglieva e creava l’atmosfera ideale della festa , poi verso le ore ventuno davano il cinema .Davano film di romani o d’amore con Amedeo Nazzari, o di Totò che facevano ridere . Fu una volta che arrivati ad Atripalda Giovannino e i suoi amici ;Giuseppe Picardi e Amedeo Falgidano amici stretti di Giovannino e altri ,da subito facevano il biglietto che allora costava novanta lire ,usciti poi dal cinema si compravano la pizzetta, questa costava trenta lire ,quindi novanta più trenta erano centoventi lire ,ottanta lire servivano per l’andata e il ritorno del treno ,si arrivava a le lire duecento cifra che aveva guadagnato dai ciabattini ,quasi una settimana di lavoro .

In questo pese di Atripalda Giovannino ha anche il ricordo che con suo padre venivano al giovedì perché c’era un grande mercato ,il più grande della zona Irpina ,qui si vendeva di tutto ,il suo papà era molto povero e si limitava ad acquistare il necessario per la campagna ,attrezzature varie ,solitamente servivano per la campagna:vanghe forbici per la potatura ,rastrelli e altro. Non mancava di fermarsi davanti al pescivendolo ,o dal formaggiaio ,li si acquistava il baccalà e le famose acciughe per poi avvicinarsi ai formaggi ,ma li se ne sentiva solo l’odore ,d’altro canto il lavoro di mezzadro non gli permetteva di strafare e con quattro figli non si andava tanto lontano bisognava far quadrare il bilancio famigliare e vivere di ciò che la terra offriva. Arrivava la vendemmia e pure li dopo aver fatto il vino in proprio ,il padre di Giovannino lo vendeva per bisogno di denaro ,restava la vinaccia e con lo scarto di essa si faceva di nuovo fermentare aggiungendo dell’acqua ,veniva fuori un vino leggero (chiamato acquata) questo bastava al padre di Giovannino ,un vino di scarsa qualità e resa ,ma bevibile .

poi l’inverno e molte erano le conserve che si facevano:quelle del pomodoro ,quelle delle castagne ,dei peperoni e le marmellate , grappoli d’uva appesi al soffitto e tante altre cose ,tutti frutti della terra che nel lungo inverno servivano ad alimentare tutta la famiglia ,per il pane, questo veniva fatto dalla mamma di Giovannino in un grande forno usando la farina che in luglio avevano raccolto dal grano .Qui la famiglia stava meglio in questa casa di campagna aveva trovato più lavoro ,più fatiche ma più benessere ,mentre prima abitavano nella casa in paese ,ma di questo ve lo racconto nel prossimo episodio,in Giovannino e le lumache. ora vi abbraccio augurandovi una buona lettura.

Dalle storie di Giovannino
Giovannino in castigo.


Si ,lo so, nella precedente storia genealogica non vi ho detto come Giovannino fosse diventato povero,ho divagato sulla sua genealogia e dei suoi avi ma non vi ho detto come lui lo era diventato.Difatti questo modo di fare è tipico in Giovannino e credo che alla sua matura età tuttora è ancora sempliciotto ,non a caso con la sua esuberanza e la sua testardaggine riconosce la sua mediocrità ,ma questo comunque resta tutto evidenziato nei vari racconti ,quindi ne potete desumere voi stessi di quello che è effettivamente e trarne il suo essere.

FU POVERO !

Come detto nei precedenti capitoli proveniva da una famiglia povera, ma  di antica e nobile casata .

Detrattori questi che in ogni ramificazione genealogica erano possidenti ,con titoli nobiliari ,canonici ,letterari ,uomini di legge imprenditori nella forgiatura e il commercio dell’oro ,tutti che nei secoli lasciavano i loro bene ai successori seguendo una regola fondamentale :i beni dovevano rimanere nel nucleo della parentela ,e cioè venivano venduti tra di essi o lasciati appunto,in eredità ,ma mai venduti ad altri fuori dalla famiglia .Quello che interessa interessava a Giovannino era di avere una stirpe nobile con principi solidi e umani ,ma nel corso dei secoli non fu così. Con l’evento bellico del 1915 -1918 il suo ramo diretto residente in Candida nella vallata Piscarielli - la contrada così chiamata per l’abbondanza di acqua sorgiva dove in molti punti della valle si formavano vari contenitori di questa acqua.Giovanni Paolo testatore in Solofra lascia a suo nipote Stefano Maffeo suo nipote, da Stefano a suo figlio Tommaso ebbe questa fertile proprietà in Candida provincia di Avellino IN ANNI 1710,


Dicevo di Tommaso erede ,che da lui sposato a Candida con Carmina Nasta con la quale ebbe 7 figli e da questi formarono il mio ramo di appartenenza .

Ebbe la terra e un vasto appezzamento e i 2 casolari qui tutta la famiglia per la maggior parte di essa rimase fino al 1900 e oltre …

Come dicevo questo podere si sfaldò piano piano ,chi emigrò a Boston ,America,chi in Belgio ,ci furono casi di necessità che come quello dei nonni di Giovannino dovettero vendere per pochi soldi la loro parte per bisogno .

Comunque il fanciullo Giovannino oggi è adulto e vaccinato, ebbe una famiglia povera e spesso e volentieri chiedeva a suo padre chi fossero i suoi parenti da parte della sua famiglia Maffeo ? Il padre deviava ogni volta il discorso e a volte senza dargli nessuna risposta ,fu una sola volta che gli disse: lascia stare quella gente non merita di essere nominata,Giovannino era piccolo e non capiva cosa volesse dire ma poi nel tempo la sua curiosità cresceva sempre più .Passarono anni e la domanda era sempre quella ,anche a tarda età non trovava nessuna via d’uscita da parte del padre ,anzi lo stesso si urtava nel continuare a chiederglielo e finì che Giovannino non gli lo chiese più nulla. 

Dopo anni fu tempo che Giovannino sapesse la verità e si mise a fare ricerca genealogica della sua antica famiglia , come detto passò oltre un decennio prima di averne risolto i vari rami d’appartenenza , per quello studio appassionato incontrò la poesia ,forse questa lo aspettava tra le righe e lui nemmeno lo sapeva .

Sfiduciato da tante situazioni e dalle precarie attitudini culturali e grammaticali voleva smettere e più volte lasciò scritti farciti di errori ,una sintassi che a dir poco faceva ridere ,sia nello scrivere che nel pensiero poetico …

… ma lui non si arrese e con pazienza e tanta buona volontà continuò a fare genealogia ,a girare in lungo e in largo per l’Italia, negli archivi ,nelle biblioteche ,ovunque avesse notizie dei suoi progenitori della sua casata ,ovunque si parlasse di genealogia dei suoi avi e di poesia .

Un anno si recò ad Avellino all’archivio di stato e dai suoi zii a Candida ,li sua zia Francesca Maffeo sorella del padre gli fece una calorosa accoglienza e dopo i vari discorsi di commiato Giovannino chiese a sua zia il perché suo padre non volesse mai parlargli della parentela Maffeo?La zia fu molto seria a riguardo ma sincera , gli raccontò tutto quello che accadde in passato ,in particolare a suo padre ( il nonno Giovanni Maffeo ,suo nonno) .

Cominciò col dire e a raccontare : che nel casale di un tempo da loro ereditato ,quello che vi ho descritto in precedenza ,nella contrada piscarielli! li nel 1710 circa Tommaso Maffeo progenitore di Giovannino che da Solofra si sposò a Candida ,ebbe questa eredità dal suo nonno paterno fino al 1915 e oltre .Tutti gli appartenenti di questa famiglia vissero in quel casale composto di due enormi case con terre site in una bellissima vallata . 

Fu il periodo della prima guerra mondiale e il nonno di Giovannino ,Giovanni Maffeo ,tornò dalla guerra dove era stato in frontiera e la sua salute non era delle migliori per aver patito le conseguenze di quella tragedia .Si ammalò e la sua mamma Francesca ,la bisnonna di Giovannino in quei tempi di grande necessità economiche vendette la parte delle terre spettanti a suo figlio ;il nonno Giovanni! gli altri fratelli e cugini furono contrari a questa decisione perché non furono rispettati i patti famigliari ,e cioè ogni cosa che faceva parte della famiglia doveva restare nella parentela e tramandarla ai futuri discendenti come si era fatto nei secoli …

La bisnonna Francesca sua madre vendette la parte spettante per poter salvare il figlio dalla grave malattia ,il nonno Giovanni che era grave e necessitava di cure urgenti e a quei tempi le medicine e i dottori erano rari ,insomma fu tempo che il nonno Giovanni morì lasciando quattro figli in tenera età di cui mio padre Isidoro Maffeo ,con la disperazione della nonna Giovannina sua moglie ;si quella che Giovannino tirava le pietre per ottenere le dieci lire! 


La zia Francesco proseguiva il racconto e ad ogni parte di conversazione era rammaricata ,Giovannino l’ascoltava a bocca aperta con attenzione e ansia … diceva:Fecero i funerali del nono Giovanni e nessuno della parentela Maffeo compresi i fratelli furono presenti ,il papà di Giovannino allora ragazzino notò quella assenza e col tempo si fece spiegare il perché?

Gli zii e i cugini del padre di Giovannino non si parlarono nemmeno per scambiarsi una sola parola e tutto ciò che era dell’eredità fu persa e la famiglia di Giovannino cadde in povertà ,il resto come raccontato fu fatica e sudore ….
Ora passiamo al raccontino.
Il castigo:

Chi di noi in fanciullezza non è mai stato in castigo?Credo che bene o male quasi tutti ,chi dai propri genitori ,chi a scuola ,insomma credo che lo siamo stati un pò tutti ;oggi si usano altri sistemi ,per non offendere e intimidire troppo ai bambini si adotta il sistema della riflessione ,e cioè il bambino viene distaccato dagli altri e messo in un angolo a riflettere sperando che capisca gli errori fatti .

Ricordando i vecchi tempi di Giovannino non erano stati sicuramente tra i migliori , anzi tra bacchettate sulle mani che prendeva a scuola e le sberle che gli dava suo padre quando faceva i compiti non erano altro che castighi ben solidi e dolorosi ,diciamo che erano sistemi primitivi di un tempo precario dove tutto ciò non portava a nulla di buono ,ma a causare nel bambino una timidezza e una paura ,o ribellione per i soggetti più vivaci ,a chiudersi a guscio e aver paura di ogni cosa …

Capitò che in una giornata di sole Giovannino seppe dai suoi amici che alla stazione di Salza Irpina arrivavano i vagoni merci pieni di carri armati e armamenti bellici con i militari e tanto fu la curiosità che salì alle stelle ,si mise subito d’accordo con i suoi amici per andare a vedere cosa succedeva e dopo la scuola di corsa alla stazione .Una volta arrivati videro con sorpresa e meraviglia tutte queste macchine da guerra ,attratti da queste si avvicinarono ai militari e mille furono le domande ,i militari li allontanarono dicendo: sono manovre di addestramento militare e dovete stare lontani . 

Il giorno seguente arrivò la sorpresa , le dosi di bacchettate del maestro e le sberle di suo padre aumentarono per aver disubbidito e andato in una zona militare ,insomma non bastarono le sberle e le bacchettate ma ci si mise pure il ciabattino Domenico ,dove Giovannino andava a lavorare ,aveva marinato il lavoro e questo preoccupato non sapeva dove fosse andato e visto che aveva una certa responsabilità verso Giovannino lo mise in castigo seduto su una sedia al sole ,appunto! a riflettere il suo errore … La curiosità della gente che passava era tanta ,si chiedeva cosa avesse fatto di tanto grave per soffrire quella punizione ,passò così quasi tutto il pomeriggio seduto al sole e verso sera Domenico lo fece andare a casa ,prima di congedarlo lo chiamo in disparte e con una carezza lo congedò …

Era un bravo uomo Domenico ma la sua freddezza e responsabilità era dovuta a una infanzia rigida passata al tempo del fascismo , quando lui balilla marciava il sabato fascista ,spesso riuniva ragazzini e con lui li portava in alta montagna a raccogliere castagne e funghi e tutti assieme a cantare Giovinezza .



Capitolo 10 

Dalle storie di Giovannino .
Giovannino e le lumache.


Oh , che costanza! Sono arrivato alla decima parte ,chi lo avrebbe mai detto ,una meraviglia! Ma poi mi chiedo spesso: chi me lo fa fare? Che cosa scrivo ?Storie che a nessuno interessano o possano interessare ?Forse a qualche perdisonno come me che non riesce nemmeno a dormire .La mia amica Chiara ,si! la poetessa Chiara ,mi dice che una volta che si scrivono parole è difficile cancellarle ,ed è vero ,io scrivo quel che penso ,quel che mi passa per la mente :un ricordo ,una poesia che mi ispira ,un frangente della mia malinconia,chi mi vuole io ci sono !Chi mi legge io l’accolgo ,chi vuole un abbraccio gli lo porgo ,chi vuole soldi non li tengo … ma chi vuole capirmi veramente e leggermi tra le righe io lo ammiro ,forse anche lui,lei come me ha qualcosa da dire ,da raccontare.

E dopo questa arringa presuntuosa e forse pure arrogante io vado avanti a raccontarvi di Giovannino e le lumache:

Come vi dicevo in chiusura del nono episodio ,nel periodo antecedente alla casa di campagna dove Giovannino abitava ,c’era la casa nel paese di Salza Irpina ,sita al centro del paese .Un appartamento al primo piano di un fabbricato vecchio ,ma agevole e comodo,messo sopra a una bottega di alimentari e in parte un altro appartamento abitato da gente simpatica e generosa. Come detto la casa non era male ,una grossa scalinata costeggiava la salita e una piccola veranda ,prima di entrare ne faceva accoglienza,era una struttura che in quegli anni cinquanta o prima ancora si usava costruire in quelli stili :nell’entrata c’era il salone con il camino ,in questo con piccoli accessori :la stufa a carbone per scaldare l’acqua ,versata poi in un grosso tinello di legno serviva per lavarsi ,il camino non era da signori,ma rustico e alla buona ,con intorno delle panche molto vecchie ,con affianco nel sottoscala la legna da ardere.



Il reparto notte era subito comunicante con una porta ,questa portava alla cameretta di Giovannino ,un letto rustico ,direi antico , e con dei materassi pieni di paglia di pannocchie di gran turco ,altro allora non c’era ,ovvero c’era ma costava ,subito appresso seguiva la stanza dei suoi genitori ,anch’essa con mobili vecchi e un armadio abbastanza malandato ,a volte la madre di Giovannino per questione di spazio e di comodità usava la dispensa messa nella parte giorno dove c’era il camino ,ci metteva di tutto :scorte alimentari ,vino ,saponi e pure la candeggina ,allora questo ultimo prodotto lo vendevano sfuso ,e cioè si comperava a litro in bottega ,somigliava molto al vino bianco . Infatti Giovannino ingannato da questo per la notevole somiglianza ,scambiandola per vino bianco ne bevve un bel po’ ,al momento gli sembrò strano il sapore poi si accorse e corse dalla mamma disperato ,i suoi preoccupati lo portarono all’ospedale di Avellino ,li gli fecero la lavanda gastrica e si riprese . 

Ripreso dal grande spavento e dal gusto alquanto diverso non bevve più vino per un bel pò di tempo e stette lontano dalla dispensa con la gioia di sua madre. Come ricordavo prima ,la casa in paese fu abitata per pochi anni ,nel primo periodo che i genitori di Giovannino si erano appena sposati e avuto i due primi figli ,Giovanna e Giovannino ,era una casa in affitto la dove la miseria e la fame abbondava,si perché il padre lavorava a giornata nei campi ,e cioè a chi ne avesse bisogno ,di un giorno o più giorni ;Oppure veniva chiamato come supplente nella forestale e andava con altri a piantare i giovani pini o pioppi ,questo lavoro era sotto la responsabilità di un certo Olindo Ferullo ,amico e compare di cresima di Giovannino ,uomo di notevole rispetto .

Il lavoro per il padre come detto era precario e se non fosse per il supporto economico che gli davano sia i nonni paterni che quelli materni di Giovannino ,non si poteva tirare avanti ,difatti nel seguito si portarono alla casa di campagna ,li infatti tutto fu diverso e più tranquillo,con più possibilità di sopravvivenza ,ricordiamoci che erano gli anni cinquanta ,appena al dopoguerra e tutto era ristretto .

Ora però vi parlo delle lumache: Quando pioveva Giovannino e i suoi fedeli amici;Giuseppe e Amedeo si portavano in un viottolo di campagna lì c’era un grande muro che divideva la strada dalla terra ,li le lumache abbondavano ,facilmente da raccogliere senza arrampicarsi e farsi male.Una volta raccolte le portavano a casa di Giovannino le lavavano bene e le sgusciavano ,poi messe sulla brace vive le arrostivano e le mangiavano di buon gusto .Dopo aversi riempiti la pancia uscivano soddisfatti a giocare fino a sera. 

Di giochi in paese non c’era nulla ,e si inventavano :facevano il gioco della cavallina ,e cioè: erano due gruppi di tre o quattro bambini ,il primo gruppo si chinava facendo trenino fermo naturalmente ,mentre l’altro da lontano si lanciava a saltarci sopra e chi di questi resisteva al peso ,l’altro gruppo doveva passava sotto ,se cedeva doveva restare ancora chino e farsi cavalcare. Il problema comunque sempre il cibo ,vi ricordo le dieci lire,quando suo padre mandava alla bottega sottostante a comperare una sola acciuga, e con un solo uovo bisognava assaporare e mangiare tanto pane ,questo a sentire il padre di Giovannino serviva solo ed esclusivamente per avere il sapore ,un companatico che faceva mangiare e assaporare il pane .Giovannino spesso debordava e scambiava il companatico col pane ,suo padre lo guardava un po’ di traverso ,ma poi sorrideva come ogni genitore si toglie il pane di bocca per darlo ai figli.

In quella casa Giovannino aveva quattro anni ,e ad oggi dopo cinquanta anni ricorda tutto come fosse adesso,forse perché ci fu la fame,ci fu la gioia degli amici ,ci fu l’armonia che si viveva in quei tempi ove tutti erano disposti a scambiarsi un saluto e un tozzo di pane.Passarono anni da allora e quando Giovannino fu adulto e ebbe la sua famiglia ,ogni volta ,ogni momento che si recava da suo padre ,alla casa paterna , lo invitava a rimanere a mangiare ,gli chiedeva ,quasi lo pregasse di mangiare con lui .Sapeva che in passato ci fu la miseria.
In quel momento qualche lacrimuccia scende ora che lo scrivo .Che ci vuoi fare è la bellezza dei ricordi !E’ anche questa una emozione … ci sarà ne son sicuro sorpresa per l’undicesima parte ,ora vi saluto ,e se volete un abbraccio sappiate che io ci sono …


Capitolo 11

Dalle storie di Giovannino.
La progenie di Giovannino.


Questo capitolo è diverso dagli altri ed è una parentesi genealogica ove Giovannino vuole far sapere della sua antica famiglia ,vuole far capire che un abbraccio può essere dato anche da uno semplice come lui ,che un sorriso ingenuo può crescere nel tempo e esortarne intelletto ,e bada bene,non vanto ,ma una rivalsa a ciò che lui nelle mille difficoltà si propone e con coraggio nel suo piccolo realizza .

Completa quindi la sua ricerca ,il suo studio genealogico ,spinto dal desiderio di sapere ,dalla curiosità a chi appartenesse la sua discendenza ,e chi fosse in realtà?Chi mai per lui avesse fatto chiarezza in un’epoca così lontana ,ove l’attuale infanzia era precaria in un contesto rurale e alquanto misero . Difatti nella sua maturità egli prende forma di una conoscenza repressa ,di ciò che a lui gli fu negato in quell’ambiente crudo e sterile del dopo guerra Italiano ,ove era la terra a sfamare il corpo e le braccia a formare un avvenire . Dalla sua terra in fiore ,tra i prati e le zolle rigogliose il frumento dava il pane ,gli fu negato quello che lui fu,quello che i suoi predecessori non furono in grado di lasciargli ,e lui coraggioso ne dette emblema e conoscenza ,ne dette lustro e vanto . 

Decise dunque a tarda età di ricostruire tutta la genealogia del suo casato de Maffeo - nobili Maffei .Vi sarete chiesto come mai Giovannino in uno o più racconti vi parla di discendenza nobile ,di gente della stessa casata che aveva e ha tuttora poderi e poteri nobiliari ,mentre lui e i suoi genitori sempre in miseria ;qui ve ne racconto una sintesi del perché, come detto e raccontato in tarda età Giovannino si dedica alla genealogia e ai suoi antichi progenitori ,questo ebbe inizio negli anni novanta ,studio e ricerche che lo ha impegnato per circa un decennio ,quindi ricerche fatte in archivi di stato ,biblioteche comunali,in parrocchie tra gli stati delle anime e altre fonti ovunque man mano i documenti stessi lo indirizzavano girando in lungo e in largo l’Italia .La famiglia comunque ha antiche origini Greche il suo casato si forma a Volterra nel 850 con il console De Maffeo ,nobili Maffei- allora nome e non esisteva ancora il cognome ,ma solo l’appartenenza indicata con il DE , questo veniva comunque evidenziato nelle famiglie nobili per dare seguito alla loro discendenza ,famiglie che ebbero ,hanno! molto lustro in tutti i settori lavorativi e artistici ,di cui i principali Giudici,notai, politici, e in particolare uomini di cultura ,letterati e altro.

Comunque per dire in sintesi come lui e i suoi si trovavano in povertà : Nel 1250 circa ,il re Manfredi con accordi presi con la repubblica di Siena si fece mandare alcuni giustizieri (giudici popolari) questi erano appunto i de Maffeo ramo appartenente alla mia famiglia,gli furono concesse le baronie di Lanciano (Abruzzo) e quella di Salerno (Campania) da questo ramo con Stefano de Maffeo capostipite si formarono diversi rami Campani ,alcuni da Antonio De Maffeo che sposa la Paolina Pannone di Napoli si trasferiscono a Solfora ,paese industriale per le conciature delle pelli ,qui ebbero riconoscimenti e eredità di cui il casale Toro soprano e altre molte eredità sparse nei paesi del principato di Avellino e fu Tommaso de Maffeo di Solfora che sposò Carmina Nasta di Candida,ebbe sette figli che leggerete il seguito alla fine di questa ampia genealogia.

LA FAMIGLIA DE MAFFEO FONDO' LA SUA CASATA A VOLTERRA,
FU DA UN CONSOLE VOLTERRANO CON IL NOME MAFFEO ,ANTICO
PATRONIMICO CHE NASCE L’APPARTENENZA A DE MAFFEO ,INFATTI PER MOLTI SECOLI SI USO’ DE MAFFEO COME COGNOME ,

Progenie.

Progenie.
Ho cercato da tempo una croce
dispersa nel sangue
nelle vene del mio gene.

E nasceva in quella valle
la mia gente
veniva da lontano
a cavallo di un destriero.

Ed io nacqui genuino
da un seme di un prato
all'alba di un mattino,
e fui presto designato.

Crescevo la mia vita
all'ombra di una quercia,
raccogliendo i loro nomi
per farne grande gloria.

Progenie arrivate da lontano
da una civiltà Greca,
narratori di una storia
portatori di una stirpe.

Il casato fu creato
a Volterra fiorì il ceppo
la loro insegna hanno lasciato
dando voce al guerriero.

Il cervo rampante
è lo stemma
Luzio il fondatore
di stirpe antica Cavaliere. 

IL POETA NARRATORE.

Dedicata alla nobile famiglia Maffeo  nobili Maffei

· Questa è una delle mie poesie che ho voluto inserire in questo memoriale .

Si carissimi cugini genealogici con questo mio memoriale dal titolo

( Alla ricerca della nobiltà perduta)ho voluto dare memoria al mio ,al nostro grande casato,il casato ( De Maffeo,nobili Maffei )in questo coinvolgerà molte famigli della stessa appartenenza,che sono:Famiglie Maffeo- famiglie Maffei – famiglie Maffeis –

TUTTO CIO' TROVERETE NOTIZIE GENEALOGICHE E NARRAZIONI CON I VARI ALBERETTI GENEALOGICI  LIBRO GENEALOGICO DAL TITOLO - STORIA DI UN CASATO

SCRITTO DA ME Giovanni Maffeo - dal cugino genealogico Francesco Maffeis


Capitolo 12 

Dalle storie di Giovannino  .

( quattordicesima parte )

Giovannino e il provolone. 

Nel percorso degli anni molte le gioie ,molte le delusioni ,il mondo ne è pieno ,a volte tutto sembra facile ,raccogli un fiore e ne senti il suo profumo ,poi ti accorgi che quel fiore è di un altro e resti con lo stelo in mano ,resti deluso come un bambino capriccioso , ma la vita è questa e nessuno ci può fare nulla .Come ricorderete , il padre di Giovannino all’epoca del suo matrimonio e della sua prima abitazione nel paese di Salza Irpina li ebbe i suoi primi 2 figli ,Giovannino e Giovanna ,nomi sopportati dai nomi dei nonni paterni ,in questa casa come già detto suo padre viveva una situazione precaria e spesso veniva chiamato a lavorare nella forestale ,sul monte Serrone !Un monte non distante dal paese dove spesso i lavori di imboschimento erano necessari .Una parte di questo monte si affacciava nella grande vallata Irpina ,da li si vedevano tutti i paesi facenti parte alla provincia di Avellino . 

Avellino in tempi antichi veniva chiamato (principato ultra ) perché in quelle terre oltre che furono presenti e rilevate tracce di residenze Romane ,oltre si di una tribù proveniente dal nord dell’ Italia ,DALLE ZONE VENETE che presero nome dalla valle del Sannio , i Sanniti,un popolo guerriero, e con il seguito da domini longobardi ,greci e normanni ,con emigrazioni poi di popoli Albanesi ;quindi ancora oggi si trovano paesi interi che parlano il greco,l’albanese .

Si trova il Paese di San Angelo dei lombardi che nel tempo antico fu appunto fondato da quel popolo nordico e con l’evento del terremoto di alcuni anni fa molti furono gli aiuti dalla gente Lombarda che adottarono e dettero aiuti .Troviamo la piana degli albanesi che in quel luogo nel 1450 circa fu emigrazione e insediamenti di quel popolo proveniente dalla Albania ,ad oggi questi occupanti Italianizzati parlano una loro seconda lingua antica anzi la terza perché si aggiunge l’indialetto Campano ,troviamo quindi paesi che parlano il greco ,come si trovano referti antichi e strutture normanne e reperti romani e bizantini ,insomma una regione,una provincia ricca di storia e di grande cultura antica.

Racconti particolari che sicuramente troverete nei libri di storia antica o su siti alla voce SANNITI.. A cura dell’architetto Davide Monaco .Per ulteriori voci storiche :



oltre i greci e i diversi popoli che occuparono queste terre nell’antico tempo essi furono teatro di immense virtù e battaglie tra greci e signorie di quei tempi ,si racconta che il popolo Irpino in particolare i Sanniti hanno origini antichissime : Parliamo quindi dei Sanniti! questo popolo ,io direi tribù che si insediarono in quella regione ,in particolare nella zona del Sannio , quindi una tribù che si sparse in Irpinia e prese il nome di Sanniti dalla suddetta località del Sannio. .

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Il territorio abitato dai Sanniti, nella parte centro-meridionale della penisola italiana, era chiamato dai suoi abitanti Safinim i quali designavano se stessi come Safineis. In latino Safinim divenne per assimilazione Samnium, da cui i Romani derivarono il termine Samnites per designare gli abitanti e il luogo del Sannio.

I Greci li chiamavano Saunitai e la loro terra Saunitis .



La tradizione antica vuole che popolazioni ataviche fossero immigrate in quelle terre dove precedentemente vivevano gli Opici o Osci e che ne avrebbero assimilato gradualmente gli usi e la lingua, l'Osco appunto. Si crede che fossero arrivati nel Sannio dalle terre limitrofe dei Sabini, di cui sarebbero stati i discendenti (2) ai quali, secondo Strabone "... si sono forse aggiunti coloni laconici e che per questo sarebbero di stirpe ellenica. Inoltre anche i Pitanati (gli abitanti di uno dei distretti di Sparta, ma anche di Taranto, colonia laconica della Megale Hellas) si sarebbero aggiunti ad essi. Sembra che questa spiegazione sia stata inventata dai Tarentini, che volevano così lusingare i loro vicini a quel tempo assai potenti ed insieme guadagnare la loro amicizia, dal momento che i Sanniti potevano mettere allora facilmente insieme 80.000 soldati di fanteria e 8.000 cavalieri ." (Geo. VI,12)..


Le popolazioni osco-umbre, che includevano sia i Sanniti che i Sabini, si erano quindi sviluppate dalla fusione di abitanti del luogo con infiltrazioni indoeuropee ma, in seguito alla colonizzazione greca del sud della penisola italiana, anche mescolanze coloniali elleniche riconducibili agli ultimi periodi dell'Età del Ferro.
Nel VII secolo a.C. esistevano ormai popolazioni distinte dalla primitiva radice comune umbra e nel VI secolo a.C., se non prima, il popolo storicamente noto come Sanniti deve essere stato chiaramente identificabile ed aver avuto il controllo incontrastato del Sannio.

Il popolo sannita propriamente detto era formato dall'unione di quattro tribù, come spesso elencano gli scrittori antichi: i Pentri, i Carricini, i Caudini e gli Irpini. In seguito, forse con la nascita della Lega Sannitica come organismo di coordinamento militare già dal V secolo a.C., altre tribù stanzianti nell'Italia centrale si unirono ad essi. Tra queste i Frentani..

La tribù che costituiva il cuore del popolo sannita era quella dei Pentri, che popolava il centro del Sannio nel territorio compreso tra la catena montuosa delle Mainarde a nord ed il massiccio del Matese a sud. Forti e temibili, erano la spina dorsale della nazione. Nell'ultimo periodo delle guerre contro Roma ressero quasi da soli l'urto degli eserciti consolari che si infrangevano contro le difese occidentali del Sannio. Città pentre erano Aesernia, Allifae, Aquilonia, Aufidena, le due Bovianum, Fagifulae, Saepinum, Terventum e Venafrum.
I Carricini erano la tribù situata più a nord, stanziata nei territori meridionali dei monti della Maiella ai confini con i Peligni. Sembra essere stata la meno numerosa. Città carricine erano Cluviae e Juvanum.

I Caudini erano i più occidentali e quindi i più esposti all'influsso greco della Campania. Dalla gran quantità di reperti di buona fattura trovati durante gli scavi archeologici si evince la notevole raffinatezza di vita e costumi in un periodo in cui altre popolazioni limitrofe, tra cui i Romani, erano lungi dal possedere lo stesso tenore di vita. Vivevano nel territorio compreso tra le montagne.

che delimitano la pianura campana, il Monte Taburno e i Monti Trebulani, nella valle del fiume Isclero e lungo il tratto centrale del Volturno. Tra le città caudine ricordiamo.

che delimitano la pianura campana, il Monte Taburno e i Monti Trebulani, nella valle del fiume Isclero e lungo il tratto centrale del Volturno. Tra le città caudine ricordiamo Caudium, Caiatia, Cubulteria, Saticula, Telesia e Trebula.
Gli Irpini abitavano la parte meridionale del Sannio, nel territorio delimitato dalle vallate dell'Ofanto, del Calore e del Sabbato. Come i Caudini anch'essi usufruirono dell'influenza della vicinora civiltà della Magna Grecia.

Gli Irpini erano chiamati uomini-lupo ed il loro nome deriva da hirpus che in osco significa "lupo". Tra le loro città principali ricordiamo Abellinum, Aeclanum, Compsa, Malies o Maloenton (chiamata Malventum dai Romani per le numerose sconfitte subite a causa dei Sanniti e, in seguito alla guerra contro Pirro e ad una memorabile quanto inaspettata vittoria dell'Urbe contro le schiere epirote nel 275 a.C. venne rinominata Beneventum) e Trevicum.
I Frentani abitavano le terre di pianura che dalle falde appenniniche del Sannio arrivavano fino al mar Adriatico, tra i territori dei Marrucini a nord ed i Dauni a sud. Erano i territori più,

orientali sotto il controllo sannita e si estendevano per una fascia di circa 20 chilometri dalla costa verso l'interno…

La maggior parte dei Frentani era per lo più dedita alla pastorizia ed all'agricoltura ed erano in prevalenza stanziati verso l'entroterra. Sapevano andar per mare ma non avevano una vera e propria flotta o almeno nulla ci è pervenuto dalle fonti storiche. Eressero centri abitati sulla costa e ne praticavano il controllo applicando dazi e tributi ai naviganti-mercanti che frequentavano i loro approdi. Secondo il geografo greco Strabone (V.4.2), costruivano le loro case adattando ad abitazioni sulla terraferma le carcasse delle navi naufragate. Città frentane erano Anxanum, Geronium (forse l'arcaica Maronea), Sicalenum, Uscosium e Larinum, quest'ultima, in verità, considerata una cittadina di "frontiera" cioè era formata da una cittadinanza mista composta sia da Pentri che da Frentani. Sulla costa, insediamenti frentani erano Buca, Cliternia, Histonium e Hortona.


Secondo gli autori classici, erano sicuramente di stirpe sannita anche i Marrucini, i Lucani, ed i Campani. I Marrucini, stanziati a nord dei Frentani, avevano come capitale del Touto l'insediamento di Teate, l'odierna Chieti. I Lucani si insediarono, forse sempre a causa di un "Ver Sacrum", nei territori compresi tra gli Irpini e le colonie della Magna Grecia di Metaponto e Sibari. Occuparono le terre degli Enotri a sud e si spinsero a nord verso la Campania e le colonie greche di Poseidonia (Paestum) e della foce del fiume Sele. La lingua osca era la stessa ed osche erano anche le credenze e la religione. Uno dei più importanti santuari, quello di Rossano di Vaglio vicino l'odierna Potenza, era dedicato alla Mefite , una deità tutta sannitica. Ma con i cugini del nord non vi era molta unità d'intenti. Le vicende storiche tra i Lucani ed i touti dei "Sanniti settentrionali" sono state sempre segnate da alterni periodi di amicizia e di grandi divergenze createsi per problemi territoriali ed economici.

I nascosti interessi romani verso gli sbocchi commerciali dell'Adriatico e dello Ionio, supportati da interventi militari celati sotto sembianze pacificatorie, divelsero totalmente qualsiasi rapporto tra Touti riuscendo ad aizzare l'uno contro l'altro i diversi gruppi territoriali, distruggendo così le antiche fratellanze. Questo inserirsi tra dispute "familiari
allo scopo di trarne vantaggio, portato avanti abitualmente e senza scrupolo dai Romani, riuscì persino con il popolo dei Campani, considerato una "costola" dei Sanniti ed affine ai diversi popoli oschi.

Quando nel V secolo a.C. la Lega Sannitica si spinse verso i territori che dalle falde dei monti del Matese si aprivano fin verso le coste tirreniche controllate dalle colonie degli Etruschi e dei Greci, riuscirono a trasformare le sparse popolazioni indigene di quelle terre in una unità tribale. Elevarono la cittadina etrusca di Capua, da fortezza-granaio difesa da un popolo colonizzatore, alla capitale dei Campani, cacciando l'etnia etrusca a vantaggio delle popolazioni natie. I rapporti commerciali e di amicizia tra i touti stanziati e confinanti in quella area vennero ad incrinarsi quando iniziarono a farsi pressanti gli interventi romani per la salvaguardia dei propri interessi economico-espansionistici verso il sud dell'Italia, con la nota tattica del "dividi et impera" E dopo questa bella rappresentativa cavata dalla sopraintendenza per i beni culturali e archeologici del Molise e il ricercatore Davide Monaco .Ringrazio quindi questo ente e questo egregio signore di avermi fornito queste notevoli informazioni a un figlio di quei luoghi ;passo alla storiella

di (Giovannino e il provolone.)


Come vi dicevo il padre di Giovannino era povero e i lavori che faceva erano saltuari ,spesso e per fortuna ,veniva chiamato da Olindo Ferullo ,dirigente e capo della forestale di quei luoghi ,del monte Serrone ,il padrino di cresima di Giovannino , questo era amico del padre di Giovannino e non solo lo aiutava a farlo lavorare ,ma a volte voleva che Giovannino stesso partecipasse a quelle piantagioni ,che andasse con lui sul monte Serrone a piantare i novelli pioppi. Fu infatti una di quelle volte che Olindo invitò a Giovannino di recarsi con lui in montagna:

Si alzò di buon ora Giovannino al mattino presto e buttato giù dal letto da sua madre si accinse a seguire Olindo sul monte Serrone. La strada era lunga e camminarono per un bel po’ in quella mattina di primavera mentre l’aria fresca sfiorava sulle guance del piccolo Giovannino ,lui fiero di compiere un gesto di buona volontà e di gratitudine verso il padre e il suo padrino Olindo si rendeva complice di un ampia simpatia e amicizia .


Visto che la strada da percorrere a piedi era lunga e ci voleva molto tempo per arrivare al luogo destinato il padrino Olindo gli dette un grosso pane e un bel pezzo di formaggio;era il provolone piccante quello che piaceva molto a Giovannino ,lui con parsimonia e delicatezza per non far sembrare la forte bramosia di mangiarlo in fretta e con fame lo portava alla bocca delicatamente ,quasi non volesse dimostrare la sua affamata natura o volgarizzarne il gesto . Arrivati in cima al monte Serrone Olindo gli diede dettagliate competenze ; gli indicò come fare a distanziare assieme a lui le piantine dei pioppi per poi disporle in linea retta distaccandole tra esse in una retta misura .Dopo questa preparazione Giovannino comincio a fare le buche e sudava e lavorava ,e lavorava e beveva ,acqua naturalmente!non vino ,quello lo beveva con i ciabattini.



Arrivò l’ora di pranzo ,era quella che Giovannino aspettava ,mangiò a sazietà pane provolone ,carne e ogni ben di Dio che Olindo gli metteva davanti ,e bevve pure più di un bicchiere di vino ,d’altro canto il lavoro era pesante e scavare buche e piantare piante richiedeva molti sforzi fisici ,lui era piccolo ,ma forte e coraggioso e ripresero il lavoro che si svolse per tutta la giornata e stanco morto ripresero il cammino verso casa con la felice soddisfazione di aver mangiato pane e provolone .


Passarono anni e Giovannino emigrato in terra bergamasca non vide per un bel po’ di anni il padrino di cresima Olindo Ferullo ,fu un anno prima che lui morisse che andò a trovarlo in occasione di una visita fatta a sua zia Francesca Maffeo sorella di suo padre ,ando a casa sua di Olindo e gli portò come dono alcune sue poesie e una cassetta registrata dove Giovannino gli mostrava la sua casa e la sua famiglia in terra Bergamasca ,Olindo lo accolse come un figlio e tanti furono i ricordi da rimembrare ,da raccontarsi ,al fine ci misero tutta la giornata :il provolone ,il festino della sua cresima fatto a casa sua con tanto da mangiare e donato con tanto affetto .Ci furono i saluti e l’intenzioni di chiamarlo o almeno scrivergli una lettera ogni tanto ,cosa che accadde e nei periodi di natale in quelle ricorrenze Giovannino gli inviava sempre gli auguri di buona vita.

Passarono anni e Giovannino ricorda ancora le parole di Olindo ,dettate in quella giornata in montagna :

queste piantine saranno grandi e un giorno te ne ricorderai che le hai piantate tu !

Dopo cinquanta anni su quel monte serrone ci sono i pioppi più belli quelli che a sei anni furono piantate da Giovannino e il suo padrino Olindo Ferullo.

Capitolo 13

Dalle storie di Giovannino .

(quindicesima parte)
Giovannino incompreso.


Da tempo che Giovannino si da dà fare per rendere maggiormente famigliare un dialogo virtuale,da tempo che trova ostacoli d’ogni sorta e spesso viene frainteso: forse per il suo modo di fare ,di salutare di abbracciare e baciare tutti affettuosamente come faceva da bambino ,di raccontare di se senza nessuna maschera ,di esprimere il suo pensiero a difesa di chi si affaccia per la prima volta a fare poesia ,quasi come un difensore senza titolo e ne parte ,di dare quel pizzico di calore umano che tutti ne abbiamo bisogno, compreso Giovannino ,altrimenti cosa ci stiamo a fare su questa terra in un contesto poetico, tra la gente?
Il poeta , il vero poeta ha il volto dell’afflitto ne richiede attrazione e attenzioni per la sua vita ,il suo essere affettuoso e loquace ,dove trovare comprensione e affetto per esprimersi e per ispirarsi ; chi lo capisce !Va bè ma questo resta un mio è un mio parere e una mia enfasi personale ed è un’altra storia …

So che per molti il piangersi addosso è una enorme banalità ,per Giovannino è attenzione ,è crescita di vita ,di cultura , apprendere da altri un qualcosa che lui nel tempo passato non ha mai avuto,forse può sembrare strano ,come se fosse una richiesta di carità ?Non è così !Lui ha frequentato solo la terza media ,forse gli l’ hanno pure regalata per anzianità di frequenza ,ma che comunque la sua volontà di applicarsi,la sua testardaggine di autodidatta e per la passione dedita alla poesia ,si forma in lui la sufficiente mediocrità sopportata dalla passione ,appunto per il canto poetico e per il suo ricordo fanciullo.

Da qui e nell’età fanciulla ha sempre reso palpabile il pensiero ove spesso ha condiviso pareri e affinità d’ogni genere .Nel suo paese di Salza Irpina era considerato un buono e spesso si affacciava alla vita con il sorriso ,per molti era considerato il pulcinella o l’Arlecchino per i suoi colori che emanava dalla sua folta chioma e i suoi abiti che a quei tempi bisognava indossare quello che passava il convento ,si sa che era il dopo guerra e i soldi erano pochi .

Come detto in tarda età ,nel tempo passato ricercava anime perse (genealogia) cercava la sua vera identità diffusa nell’antico progenie … mah ! Per un lungo decennio a mettere assieme tutti o quasi in memoria i suoi trascorsi genitori . In questo percorso stimolato da forti sentimenti in lui è nata la poesia ,ed è grazie a questo sentire e a un sito letterario ha trovò poi la possibilità di buttar fuori il suo essere ,forse per qualcuno lui è patetico ,sgrammaticato o quant’altro .All’inizio della sua avventura virtuale spesse volte voleva ritirarsi ,lasciare tutto quello che lui voleva a tutti i costi apprendere e portare avanti con tenacia ,ma la sua curiosità lo spingeva sempre più avanti e non solo nella conoscenza poetica ,ma quella delle persone sempre più strane ,forse perché già lui di per se lo è.


Spesso voleva crescere amicizia virtuale per poi concretizzare in una sorta di incontri per unire un unico sorriso ,cosa molto ardua da fare ,qualcuno li chiamò picnic da quattro soldi … forse aveva ragione anche questo è vero ,però come può essere vero quello che ha comunicato a Giovannino un amico di pensiero:

“Caro Giovanni, ho letto per caso il tuo lungo sfogo, nel commentare le
poesie di ….. Sono certo che a spingerti in tal senso sia
l'affetto che tu provi per gli altri frequentatori , col desiderio
di costruire una comunità di lettori tutti pieni d'amore e di rispetto l'uno
verso l'altro. Nobile scopo il tuo, lo dico senza ironia.
Tu per primo sai però che ciò è pura utopia e bisogna stare coi piedi per
terra, il che non significa disprezzare il tuo tentativo, quanto accettare
che all'interno di un sistema convivano "sensibilità" diverse.”

Sensibilità diverse ,ed è vero ! Non si può pretendere nulla da nessuno ,o quantomeno limitarsi e stare distanti ;con le parole ,con i saluti ,per non rischiare di essere frainteso …

Ma perché !… si domanda Giovannino ,perché questa indifferenza ,cosa possiamo portare via con un semplice saluto CON UNA PAROLA … cosa? Sicuramente questa incomprensione da parte di Giovannino è dovuta alla sua bassa cultura e lo porterà a capire lontano nel tempo le maggiori ragioni ,però lui si domanda : ma allora se altri sono maggiormente colti perché non ne danno esempio … insegnamento ?
***

Ma torniamo a al passato remoto ,quando lui fanciullo viveva una vita bambina e il virtuale non sapeva nemmeno cosa fosse ,non conosceva il senso dell’amore e le squallide conseguenze .
Comunque anche in quel tempo fu deluso ,incompreso per quello che faceva e per quello che volesse ,e lui ne faceva di cose! Lavorava come un adulto ,o forse più,ma questo da fare ai suoi ,a suo padre ,a sua madre non gli importava,o meglio gli importava ,ma in quella epoca il bisogno c’era, quindi bisognava rimboccarsi le maniche e il fondo dei pantaloni . 

Capitò un giorno che fu chiamato da suo nonno materno (Giangregorio Saverio)padre della mamma di Giovannino di casata antichissima i (Gregoriani del nord Europa ) ,un ramo di esso ,quello appunto del nonno Saverio si casò nell’antico tempo nella zona di Apice ,un paese in provincia di Benevento e non di Avellino ,e come detto nella precedente rappresentazione Benevento e i suoi luoghi limitrofi fu teatro dei primi abitatori delle tribù Barbare e Sannite . Fu nel periodo delle invasioni barbariche che molti eserciti nordici invasero e saccheggiarono l’Italia come fu nell’Italia meridionale :
***

Nel (455 D.C.) Genserico Re dei Vandali saccheggiava Roma e buona parte della Campania e ritolse ai Greci le città di Napoli, Benevento, Spoleto e Perugina , transitando per le nostre contrade di lui rimasto Monte Totila, presso Pescolanciano. Da tutte queste distruzioni consumate da Silla, Alarico, Genserico, arriva nel 555 Narsete, il quale a nome dell'Imperatore d'Oriente, riordinò un certo diritto pubblico, in forza del quale cominciarono a ricomporsi paesi e città, egli divise le terre in trentasei Ducati, fra i più importanti vi figuravano quelli di ( Spoleto e Benevento, )poi nell'anno 584 fino al 590 DC. Autari Re dei Longobardi, scese da Pavia, ed attraversando il mezzogiorno d'Italia arrivò a Reggio Calabria e colà conficcando al suolo la sua spada esclamò (fino a qua si estende il regno dei Longobardi).

COME Già RAPPRESENTATO IN Sanniti ,questo popolo che classificato barbaro ma che nel tempo si distinse per le scritture ,infatti i longobardi oltre che fondarono i ducati e le varie città ,di cui come accennato al paese Santangelo dei lombardi ,si trovano rami di questo popolo che si fermò e si casò in quei luoghi unendosi alle etnie già presenti di cui i Sanniti .

Questo per dirvi che il nonno Giangregorio Saverio e la nonna Luisella Sacco erano di discendenza longobarda ,casatasi dai loro progenitori nei tempi antichi in quei luoghi campani ,quindi di carnagione chiara e biondi e rossi di capelli ,con pelle lentigginosa ,fisicità che Giovannino ha ereditato da essi e non dai Maffeo di cui lui appartiene ,i Maffeo invece erano e sono appunto di discendenza greca con pelle olivastra e capelli scuri con qualche riflesso biondo causato dalla mescolanza della razza ,qualche suo figlio avrà un bimbo come il nonno Giovannino ,infatti i figli di Giovannino sono di queste fisicità greca.


Ma seguiamo il nonno Saverio ,lui e la nonna Luisa in quel periodo vennero via da Apice paese suo nativo ,dove lasciò ai suoi fratelli e sorelle le terre a loro spettanti .Si casò a Salza Irpina in un grande casale con tante terre da coltivare non distante dalla stazione ferroviaria di Salza Irpina in provincia di Avellino , non molto lontani dalla casa di Giovannino ,quel giorno Giovannino come solito andava con i suoi amici a giocare nei pressi della stazione vide suo nonno Saverio ben vestito ;aveva la classica paglietta (berretto di paglia circolare ) il grosso bastone col pomello di leone e a guinzaglio il grosso cane ;il mastino napoletano con intorno al collo un grosso collare pieno di fregi e chiodi ottonati,insomma un vero guappo napoletano .

Giovannino salutò il nonno e carezzo turco ,il nome del mastino che spesse volte aveva visto e giocato assieme,il nonno gli chiedeva della figlia ,la mamma di Giovannino come stava e con un gesto presuntuoso gli faceva una carezza .Poche erano le parole del nonno ma sufficienti per dimostrargli quel poco d’affetto .Lo invitò a casa sua e gli promise di ospitarlo per qualche giorno,Giovannino acconsenti e il giorno seguente si recò alla sua grandissima casa di campagna.
… abbracciato dalla nonna Luisa che gli voleva molto bene Giovannino trovò pure i suoi figli , i suoi zii, anche loro gli fecero festa e dopo tante belle risate e scorribande per i campi arrivò l’orario del pranzo :

Nel grande salone c’era una tavola enorme e un grandissimo camino dava l’immagine di una casa benestante con ogni ben di Dio ,difatti in quella casa non mancava nulla , c’era la grande stalla e molte mucche ,molti maiali all’ingrasso ,molte galline ,insomma una vera fattoria dove il nono dava anche lavoro a persone nel tempo della vendemmia e della raccolta del grano.

Giovannino stuzzicava il nonno mentre si mangiava a tavola e gli faceva notare i disagi che la sua famiglia aveva e la necessità di dargli aiuto ,non solo a lui ma a sua figlia ,la sua mamma! A suo padre che in quella epoca vivevano ancora alla casa in paese ed era precario il suo lavoro ,il nonno annuiva e credo ci sentisse poco a quella richiesta fatta da Giovannino ,quindi rimaneva inascoltato ,non compreso da questo nonno egoista ,ma la nonna Luisa sapeva tutto e chiamato in disparte a Giovannino lo pregò di non dire più nulla perché ci avrebbe poi pensata lei ,gli disse che ogni giorno di nascosto del nonno a una certa ora doveva passare da lei ,e che gli avrebbe fatto trovare un grosso fagotto di provviste alimentari:farina ,olio ,noci salame carne e altro cibo che potesse alimentare e alleviare la miseria della sua famiglia. Difatti Giovannino così fece ,ogni giorno si recava da lei ,e ogni volta la nonna gli faceva trovare le provviste ,a volte capitava di vedere suo nonno e con un sorriso lo salutava e giocava col suo cane . 



Passarono anni e ci fu il tempo che i nonni vendettero la grossa azienda ,emigrarono in terra bergamasca chiamati dal figlio che allora si era casato a Bergamo nell’occasione del militare e dopo aver finito la leva aveva aperto assieme a sua moglie un laboratorio di maglieria ; di seguito infatti come narrato e come narrerò ancora Giovannino e i suoi come loro vanno in quelle terre a trovare fortuna ,che a suo dire la fortuna già l’avevano in quel paese ,ma a volte si dice che il destino fa’ strani scherzi e per unire di nuovo tutta la famiglia si ripresero a fare sacrifici e a costruire speranze .

L’incomprensioni e il distacco seguì anche in terra bergamasca con suo nonno materno ,ma fu nella sua tarda età che questo nonno lo apprezzo di più,lo voleva sempre a casa sua e con lui voleva giocare sempre a briscola e spesso pretendeva di vincere ,Giovannino conoscendolo lo faceva vincere e gli regalava sempre i suoi sorrisi ,il nonno allora alla sua vecchiaia gli volle un forte bene e nei suoi momenti di solitudine abbracciava a se il suo nipote Giovannino.


Capitolo 14

Dalle storie di Giovannino .

( sedicesima parte )
Giovannino e la lupa.


Giovannino dopo l’emigrazione in terra bergamasca torna spesso nei suoi luoghi natii ,anche perché oltre il piacere di vedere i suoi parenti e una sua zia sorella di suo padre Francesca Maffeo ,và alla ricerca della sua gente per completare la genealogia della sua famiglia ,và all’archivio di stato di Avellino ,di Napoli ,và nei luoghi ove ogni traccia ci fosse dei suoi progenitori .Trova molte cose ,di cui antichi manoscritti e atti notarili ,và a Solofra paese in cui il suo antico progenitore proveniva ed ebbe da suo nonno l’eredità del casale sito in zona Piscarielli a Candida .Visita quei luoghi ove tutta la sua gente dal 1750 al 1950 circa visse in quella vallata ,come detto molti di loro emigrarono in Belgio ,in America a Boston ,altri si sparsero in Italia ,altri rimasero in Candida .

Andava ove qualche notizia gli veniva data dai documenti stessi ,quindi in quelle occasioni vedeva gente del suo casato ,vedeva i suoi cugini ,perfino fece un raduno con altri della sua famiglia a Candida questi molti di loro provenivano dai paesi della puglia ,da napoli da paesi limitrofi ,dalla Campania in generale .Festeggiarono il loro nome in un bar del paese a base di dolcetti e vino ,il brindisi finale completava la loro simpatia e le loro attestazioni all’appartenenza ,tutto ciò accadeva in età matura di Giovannino e come spesso lui osa ancora memorare racconta di lui ,dei suoi passati remoti ,della sua fanciullezza .


… come raccontato nella storia Campana ,in particolare della zona chiamata Irpinia dove Giovannino nasce e cresce la sua infanzia fino ai dieci anni ,qui nella sua breve infanzia racconta di se ,di piccoli episodi che fanno parte integrante della sua vita ma che piano , piano di questi brevi racconti si vanno ad esaurire per passare poi dai suoi luoghi nativi ai luoghi della sua emigrazione in terra bergamasca per continuare poi con altre storie vissute in questi altri luoghi .

Si parlerà di infanzia e adolescenza ,del luogo antico di Bergamo alta ,di varie avventure fatte da ragazzo ,del suo primo lavoro ,degli amici e dei mitici anni sessanta di cui Giovannino ne è protagonista e molte altre bellissime storie ,si parlerà di Giovannino adulto ,direi nonno e lo squallore virtuale ,qui ne fa esperienza a tarda età e conosce molte amare verità :il vero squallore umano che lui stesso ne rimane coinvolto .Conosce le scabrosità più abbiette e le nefandezze di alcuni individui ,di esseri che nascondono soddisfazioni dietro una tastiera ,non parlerò di fatti privati altrui ,ma di sensazioni di se stesso e dello schifo che lui ha provato ,prova per aver ascoltato .



Tempo addietro scrissi:

Le confessioni del poeta narratore.

***

Parla Giovannino.

Era ed è una parentesi come tante altre ,rivolta principalmente al costume letterario dei tempi nostri dove vengono inclusi diversi ceti sociali ,di cui il mio: più volte mi sono ripetuto ,mi ripeto col dire,col dirvi in vari spazi virtuali ,di me ,della mia storia poetica. Questo mio scritto ne fa riassunto, e diciamo che in un certo qual modo ,ne da confessione di ciò che in questo decennio mi è successo di questa esperienza reale e virtuale: la poesia nasce nel lontano 1990 quando per gioco e per passione cominciai a studiare genealogia ,e come detto più volte in questo percorso di ricerca ,incontrai il riflesso del pensiero …


Un riflesso passionale che si materializzò presto in pensiero concreto per elogiare un bello dei miei antenati ,per essi scrissi alcuni versi,ne feci le prime poesie ,le prime rime,assonanze ,buttate ,lì, di getto !
Presto mi accorsi che non era semplice e nemmeno facile scrivere poesia ,mi accorsi che la mia grammatica ,faceva acqua da tutte le parti , scarsi risultati,quindi accettatemi come scrivo mi dissi in me stesso.

Conobbi via internet il primo sito virtuale di poesia,in questo si postava poesia ,e dopo un mese veniva pubblicata ,si facevano commenti e si scriveva prosa, un antagonismo che portava a farci conoscere e partecipare sempre più in una conviviale amicizia,mi si chiedeva di adottare un nome d’arte ,e come detto dalla mia ricerca genealogica già mi definivo narratore ,aggiunsi poeta .

Quindi ,”poeta narratore”.,così nasce il mio nome d’arte ,e non per presunzione ma per scelta .
Ora col passare di anni ,mi ritrovo con dei blog tutti miei,se vogliamo identificarlo meglio (un diario personale) ,dove i miei pensieri spaziano nel web e nel mondo virtuale ,dove la mia poesia viene letta in tutto il mondo ,dove molti e molte donne si ritrovano ,tra le righe dei miei versi ,con gioie e le lacrime, tra le angosce e gli affanni ,tra la vergogna e lo squallore . Ed è in molti incontri virtuali e incontri reali,di raduni e di amicizia che raccolsi il vero di molti di noi ,di quello che veramente siamo . Raccolsi, verità,sfoghi di persone indifese ,di persone egoiste ,di persone che soffrono per essere state violentate nei loro sentimenti ,da ambigui esseri ,plagiate solo con lo scopo di farsi una avventura .

Molte sono le storie successe a più persone ,a me confidate ,a raccontarle ,ci vorrebbero molti scritti, li conservo in me,nella mia mente con la massima riservatezza ,mi riservo comunque di dire per ultimo ciò che mi è successo di me direttamente ,quindi non do giudizi ,e nemmeno ne faccio su alcune persone ,non potrei,ognuno di noi risponde del suo ,comportamento, pentimenti,angosce,frustrazioni,o magari con gioie e felicità, quindi ,non sono qui a fare il giudice giustiziere ,ma a raccontare quello che è successo a me direttamente senza esporre persona alcuna, in questi lunghi anni . 


Lo esporrò nei miei racconti ,quindi in Giovannino ci sono molte domande senza risposta ,e credetemi se dovrei rispondere ,io non le so spiegare , o meglio: so come potrei ,ma non so come definirle ,talmente è l’assurdo di alcune forme di comportamento,talmente assurde ed incredibili ,volgari per la loro squallida vita ….

In una storia virtuale ,mi fu chiesto se guardavo filmini porno ,su siti porno ,non risposi ,ne si ,ne no, dissi solo che domanda fosse questa ?E perché mi veniva chiesta tale domanda ,in una circostanza dove doveva prevalere un discorso amoroso in una imminente realtà ,dove appunto il reale è la porta della concretezza e della certezza dell’unione tra le due parti ….
Lascio intendere ,al buon intenditore la motivazione di questa domanda , molte forme di approccio si sono presentate in questi anni,con abiti diversi,ma sempre con la stessa intenzione e scopo ,un usa e getta ,uno sfogo passeggero dove la vergogna supera i suoi limiti ,protagonismo mascherato,dove si vuole far credere una timidezza fasulla per viziare le ambite voglie ,un cercare a tutti i costi un paravento per non prendere freddo ,un nascondersi inutile ingannando la stessa mente ,usare oggetti ,i più strani,i più impensabili ,per non donarsi a un reale ,ma sfruttare la vergogna di se stessi . 

Sono passati molti anni,ed io sono ancora qui a scrivere poesia e raccontare di me non credo che smetterò,forse in me ,essa morirà piano ,piano col tempo l’illusione di un qualcosa che ho creduto veramente ,si scopre dopo tanti anni un falso ,uno squallido ,una vergogna ,dove prevale l’interesse di se stessi,dove molti ne fanno arma per difendersi forse ? ,Cercano nel buio il fantasma che mai appare ….
quindi ,a ognuno il suo … il nostro Dio ci sia per tutti.

***

E dopo questa parentesi ,necessaria per anticiparvi la continuazione di Giovannino e le sue storie ,proseguo col racconto di Giovannino e i lupi. A Salza Irpina ,come detto resta sul livello del mare in altitudine a 740 metri ,e il suo clima è abbastanza temperato e ventilato,essendo essa situata in collina e nella grande vallata Irpina . 

il vento è molto frequente e il ricambio d’aria fa si che si respira sempre frescura ,infatti nelle giornate invernali il freddo di tramontana si sente e penetra volentieri nelle ossa . La casa di campagna dove allora abitava Giovannino non era molto lontana dal monte Serrone e abbastanza vicina al Monte vergine ,questo ultimo risiede il santuario della madonna di Montevergine  .
Su questo monte e altri vicini alla vallata già dall’antico tempo i lupi sono sempre stati presenti dando persino vanto alle popolazioni di quei luoghi ,fregiandosi su stemmi e bandiere agonistiche di squadre sportive:il classico detto dei lupi Irpini. 

In quei periodi degli anni invernali e cioè verso Dicembre nevicava molto e la casa di Giovannino si ammantava di neve ,tutto intorno e per la campagna era uno spettacolo unico ,si stava spesso accanto al camino e quello era l’unica fonte di calore per riscaldarsi e a volte serviva anche da cucina ,li si metteva un arnese sulla brace ,chiamato tre piede fatto di ferro battuto e su di esso le padelle per cucinare il cibo .


Di sera si ricuperava la brace e si adagiava in un grosso braciere ,questo si portava nella camera da letto e si dava un po’ di calore alla stanza ,per questo da fare era incaricato Giovannino che premuroso e attento lo adagiava nel centro della stanza con in parte un contenitore di acqua per assorbire l’anidride carbonica .

La notte era fredda e gelida e le coperte ,anche le più pesanti non bastavano a scaldare Giovannino ,anche perché il materasso non era di lana ,ma di fogliame di gran turco ,che una volta sdraiatosi sopra sprofondava come in una conca vuota ,insomma il freddo e la precaria lettiera faceva si che bisognava avere davvero sonno per addormentarsi altrimenti si stava a guardare le stelle .

Capitava che dalla strada sottostante saltuariamente e raramente passava una macchina ,questa con i fari dava luce agli alberi che con figure di varie forme si riflettevano nella stanza ,Giovannino quasi si divertiva a vedere quei strani riflessi a volte belli per le forme che si andavano a formare ,a volte brutte e si nascondeva sotto le coperte ,non c’erano le tapparelle o serrande ,ma solo delle finestre vetrate e la luce della luna che rifletteva sulla neve faceva si che sembrava pieno giorno.

A notte tarda quando non prendeva sonno sentiva spesso i canti dei lupi e come detto il monte Serrone era abbastanza vicino e questi lupi si avvicinavano spesso e spesse volte assalivano le galline che rimanevano nei recinti del casale .Fu in una notte che Giovannino si fece coraggio e di nascosto da suo padre si vestì e prese con se una specie di accetta che a suo padre serviva per tagliare la legna ,la impugnò con fervore e decisione e discese in silenzio le scale che dividevano la stanza dalla cucina ,una volta giù aprì la porta ,il freddo era talmente forte che lo faceva restare senza fiato , si gelava!Si mise una sciarpa sulla faccia e si avventurò introno al casale ,la luna gli faceva da chiarore e le stelle da candela ,vide non molto lontano da lui una macchia scura che lentamente si muoveva e senti un fruscio tra i cespugli che proveniva dal giardino antistante alla casa ,si accorse che era un lupo e la paura aumentava sempre più come il suo tremore,al tal punto che qualche gocciolina di pipi scese giù dai pantaloni ,ma lui testardo , con l’accetta in mano si sentiva un eroe il forte guerriero ,quasi come se volesse sfidare quella povera e affamata creatura .

Riflesse un momento e per un attimo gli passò per la testa il perché quel lupo era lì ,e il perché si era avvicinato così tanto a una casa ?Capì che aveva fame e come lui tanti altri lupi ,solo che quello era tra i più coraggiosi ,era una femmina ,una lupa gravida ,Giovannino tornò indietro e rientrò in casa ,prese del pane raffermo in una grossa pentola e con dei pezzi di scarti di ossa mescolò il tutto ,si portò di nuovo fuori dalla casa e il lupo era ancora lì ,come se sentisse di Giovannino che gli portasse da mangiare ,infatti Giovannino si avvicinò il più possibile tenendo in una mano il padellone del cibo e nell’altra l’accetta ,non si sa mai disse tra se!


Si avvicinò il più possibile ,ma non tanto al lupo intravide la sua faccia ,era sicuramente una femmina :una lupa! con la pancia abbastanza grossa ,si vedeva che era incinta ,credo che fosse anche quello il motivo che la spingesse ad avvicinarsi così tanto alla casa ,Giovannino la fissò e lei pure ,gli mise il cibo a terra e questa con un gesto della testa gli significò il benevole gesto ,lentamente e cautamente Giovannino si allontanò chiudendosi la porta della casa alle spalle ,quasi non credeva a quello che aveva fatto ,a quello che era capitato ,corse a letto e dalla finestra notò la lupa che mangiava ciò che gli fu dato ,soddisfatto si addormentò …

Furono molte le sere che Giovannino lasciava il ciottolo pieno di pane raffermo senza vedere più nessun lupo. Passarono molti inverni e non vide più quella lupa ,l’ultimo che passò in quella casa fu di una sera di dicembre alla vigilia di Natale a notte tarda sentì un ululato ,quasi come se fosse un saluto :era la lupa che dava il suo saluto a Giovannino.


Capitolo 15

Dalle storie di Giovannino
( diciassettesima parte.)
Le cento lire.


Come annunciavo nel precedentemente Giovannino e nei prossimi racconti oltre che completare una serie di storielle vissute in terra nativa ,parlerà e racconterà della sua nuova dimora cittadina .In questa si vuole percorrere un passaggio morale e di virtù ,se vogliamo piccoli frammenti di memoria che in lui lucidamente vede e sente ancora .
Ora come al solito prima del raccontino vi passo un po’ di filosofia spicciola ;e cioè alcune tesi teoriche di come la penso io ,e cioè Giovannino! Si va a parlare della simbiosi delle anime ,di questo più volte annunciato in vari scritti precedentemente esposti e raccontati ,prendo occasione per farne memoria in Giovannino :


Prendo spunto dal simposio di Platone.

- l’invidia - è l’arroganza dei poveri . 

Alcuni passaggi che si avvicinano alla mia tesi teorica: 

Parla Arissimaco:l’armonia è consonanza,la consonanza consiste nell’accordo-
mentre il suo predecessore Erachido,in forma impropria afferma:discordando se stessi si accorda come armonia,replica di Arissomaco:che è assolutamente illogico che una armonia discordante,si accordi. Io a parer mio credo invece volesse dire che elementi discordanti in una armonia interiore,singolare ,sia da ricercare da prima in se stessi accordando e discordando ,trovando la pace interiore e poi trasmetterla ad altri.

 Sempre seguendo il concetto dei membri appartenenti al simposio di Platone,si dice che Zeus tagliò in due il genere umano,per renderli più deboli alle loro insolenze. e ordinò ad apollo di renderli eretti su 2 gambe,vi praticò una sola bocca,annodandola al ventre-quel che oggi si chiama – ombelico - quindi la forma originaria fu tagliata in due- poiché ciascuna metà aveva nostalgia l’una dell’altra,gettando le braccia annodandosi l’una all’altra per il desiderio di compiacersi -nella stessa forma rimanendo nel bisogno reciproco,e se una delle parti moriva,incontrasse la metà di un’altra – donna o uomo – Zeus si impietosì gli trasferì le parti genitali sul davanti del corpo,dando funzioni sessuali,per la procreazione mediante l’inseminazione del maschio alla donna ai fini ne avesse dare loro origini- altre furono le concezioni – uomo = uomo .donna = donna,concezioni che fanno parte del bisogno dell’amore,definito restauratore dell’antica natura. 

Pertanto in quanto è stato tagliato la metà di contrassegno,di cuoi ogni singolo essere cerca il - simbiotico - di se- stesso,di conseguenza gli uomini risultati del taglio di quel insieme ,allora si chiamava – androgeno- amano le donne e a questa categoria appartiene la maggior parte degli adulteri-parzialmente invece le femmine.

Invece le donne che provengono dal taglio femminile provano scarsa inclinazione verso il sesso maschile. cosi per il taglio maschile. In questi tagli e la diversità di non sapere un fine certo di cosa è il desiderio e il vero amore tra essi.
Sorge quindi una richiesta,dove si pose una domanda.Fu quindi esaudita la risposta,nel fondersi in un solo corpo con l’amato per diventare una cosa sola,che dalla nostra natura originaria era quella ,ed eravamo interi,dunque al desiderio dell’intimo Si dà il nome amore!

Sempre sostenendo la mia tesi -della separazione delle anime in questo scritto ne trovo conferma,egli racconta che il dio Zeus seguendo la natura originaria della creazione dell’uomo della donna,la ricerca del concetto -anima- corpo è in noi stessi,che del desiderio di appartenere ad un altro o un’altra in una forma tagliata lo fa mostrando una figura intera ,che per nostre colpe e peccati siamo stati separati,ma che nel momento in cui il forte desiderio dell’amore ,dell’amare diviene un unico corpo.

Seguendo quindi la mia teoria l’anima si separa dal corpo solo dopo la morte ,rimanendo viva in un spazio cosmico,resta viva nel corpo vivente – come detto separazione interiore,quindi solo l’amore unisce le due metà-corpo – anima, anima anima-=simbiosi amorosa, difatti lo scritto segue dicendo: c’è dunque da temere che se non saremo temperati nei confronti delle credenze spirituali ci toccherà essere segati in due un’altra volta-quindi separati definitivamente dal corpo e dall’anima-e andare in giro come le figure sbalzate sulle steli ,segue dicendo:solo l’amore può placare il nostro animo e di essere guida di noi stessi,solo una conciliazione spirituale ritrova i nostri amati e ci ricongiunge con loro,quindi la donna e l’uomo segue questa via retta raggiungeremmo l’amore e la sua perfezione per incontrare il proprio amato/a e che sia congeniale al nostro cuore e che se volessimo comporre un inno a un dio,inneggiare amore,ci ricorderemmo ciò che è nostro Spero di essere stato esaustivo nel riportare questi passaggi ,che ognuno di noi può interpretare come meglio gli è grado.
***

Passo quindi al raccontino ,Giovannino e le cento lire.

Si avvicinava il Santo Natale ,ricorrenza questa che in Giovannino era molto seguita e sentita .
Lui credeva ,lo crede ancora : al miracolo di Natale !Crede e ne è convinto : è convinto che se si desidera qualcosa con sincerità e convinzione in quella Santa ricorrenza il miracolo arriva .

Fu una mattina di inverno e c’era molta neve , il tempo era grigio e minacciava ancora tempesta ,fiocchi bianchi scendevano dal cielo e anche gli uccellini si riparavano nei covoni di paglia per il troppo freddo ,questo non impediva a Giovannino a recarsi a scuola e poi dal ciabattino nonostante la strada piena di neve .

Il piccolo Giovannino con delle scarpe pesanti che gli aveva dato il ciabattino e con addosso un cappottino leggero si avventurava nel cammino verso la scuola e fu appunto in quell’ anno particolare che era l’ultimo che soggiornava in quella casa di campagna e sapeva che poi di seguito emigrava con i suoi in terra bergamasca ,sentiva particolarmente quel momento ,come se fosse per lui un evento unico, godere quel luogo che lo aveva ammaliato, attimi che divennero eterni ,poi non li avrebbe più visti e vissuti e tutto per lui poi finiva :non avrebbe più visto la sua casa ,la sua micia ,il suo cane ,le sue galline ,i suoi campi ,i frutti che tante volte lo avevano sfamato ,la lupa che da lontano un saluto gli aveva annunciato.

Quel Natale per certi versi era magico ,è come se Giovannino vivesse una magia ,da una parte il dispiacere di lasciare quella terra e dall’altra parte era felice perché ne scopriva un’altra ,come se volesse vedere cose nuove e diverse ,scoprire un’altra realtà di vita ,camminare in altre strade e vedere una città ,la sua città antica che di seguito fu la sua nuova dimora.

Qualcuno della parentela gli ne aveva parlato e lui curioso si era interessano a chiederne i particolari .
Quella mattina come detto si recò a scuola ,oramai era l’ultimo anno e poi finiva la classe quinta elementare ,questa l’aveva ripetuta perché lui era un asinello e come detto la matematica e altre discipline si lasciavano a desiderare ,anche alla maestra gli dispiaceva ,a lei gli aveva portato sempre tanti fiori ,in particolare i mazzetti di viole. Uscito da scuola passò dalla nonna Giovanna dove mangiò qualcosa e si recò subito dal ciabattino a lavorare ,li questo lo aspettava e gli dette subito in mano delle scarpe da lucidare ,lui di buona lena si mise a lavorare e mentre faceva il suo lavoro gli cade l’occhio nel basso del banchetto del ciabattino ;
vide che nel fondo di questo c’erano le cento lire e la tentazione di prenderle fu tanta .Fu tentato più volte di agguantarle ,gli servivano quelle cento lire ,con esse voleva comprarsi i cioccolatini ,quelli rivestiti di figure natalizie per appenderli poi al suo albero di natale .

Passarono giorni e le cento lire erano sempre lì ,in uno di quei giorni Giovannino distrattamente nel guardare quella moneta che voleva tanto per lui ,ma non ne aveva il coraggio di rubarla si distrasse e si fece male con il pungiglione ,l’arnese che serviva a bucare le suole per far passare lo spago avvolto di pece e si traforò il dito .Visto tanto sangue Giovannino mostro al ciabattino il suo dito e questo con santa pazienza gli estrasse il pungiglione e gli lo medicò subito ,gli disse di andare a casa e visto che non poteva più lavorare gli disse di tornare da lui appena fosse guarito .


Mancava una ventina di giorni al Natale e l’alberello era ancora spoglio ,mancava il filo dorato ,i cioccolati ,i dolci tipici di quei luoghi e cioè :il torrone , e altri e lui non sapeva come fare . Guarito il dito ritornò dal ciabattino e si accorse che le cento lire erano sempre lì ,ma questa volte non volle più distrarsi anzi capì che il ciabattino le aveva lasciate lì apposta per vedere la sua onestà .Difatti passò qualche giorno prossimi al Natale e nel momento in cui doveva ricevere la sua paghetta settimanale di lire mille ,il ciabattino gli raddoppiò la cifra ,e gli disse: so che vuoi addobbare il tuo albero di Natale e con questi soldi lo potrai fare ,con piacere tuo e mio e della tua bella onestà,capì Giovannino! Capì che essere onesti c’è tutto da guadagnare e poco da perdere ,ma nella vita che segue da adulto molti furono i disonesti che lo fecero soffrire,queste sono altre storie ,restate con lui ,con me ! Ne leggerete delle belle.
Con affetto Giovanni.


Capitolo 16

Dalle storie di Giovannino
( diciottesima parte )
La mercificazione dell’anima.


In questa parte Giovannino accantona la sua solita storiella di quando era fanciullo,
Lo fa per dare spazio al suo pensiero libero ,di far capire che oltre l’apprensione strutturale del suo scritto è cambiato poco da quando era bambino,conservando a se il valori e i principali concetti di vita .

Parla Giovannino.

La mercificazione dell’anima ,aggiungo anche della parola.

non la definirei disquisizione filosofica , il termine disquisizione è un termine di contrasto contenuto scabroso se vogliamo un possesso quasi abominevole .Quindi mi rivolgo a te dolce femmina,creatura naturale ,timone che guida la vita degli uomini , ci dai delle pillole di saggezza ,del tuo sentire,quindi direi che il termine più adatto sia acquisizione.

Mi spiego meglio: già da tempo addietro sotto un mio canto-anime nella notte- espressi una mia tesi- fu quella della simbiosi delle anime: in questa mia tesi ,sostenevo, sostengo ancora che in un corpo umano seguono due forze :
il corpo=materia vivente,

l'anima=materia spirituale,

queste due forze a mio dire ,sono separate da loro ,ed ognuna segue il suo percorso ,resta tra di loro solo un filo conduttore ,che è la mente ...

Ora sempre a mio dire e senza nessuna presunzione , quasi sempre il corpo,cioè la carne ne rimane maggiormente soggetta,e agisce di conseguenza per la sua fragile debolezza, mentre l'anima con la sua spiritualità evince una maggiore purezza e ne esalta la bellezza dell'amore...
Se questa ultima vince la battaglia interiore e cioè che persiste una forza pura ,in un corpo desideroso d'amore , può fronteggiarsi e sconfigge la follia sessuale e entrare in simbiosi con l'altra anima di cui si è innamorati,naturalmente se anche in questo soggetto si manifesta la stessa evacuazione . 

Ne diviene quindi un'unica emozione in cui le due anime trovano e si fondono col vero amore...
Tale evento viene spesso chiamato passione amorosa .Ma seguiamo il divagare di Giovannino che dalla sua vita e dalla sua esperienza pur precaria ne coglie pensieri ,sfumature ,quel tanto che basta per capire che tutto inconsapevolmente ne diviene provocazione ;specialmente in questa forma ci si vuole mettersi in primo piano .


Farsi notare ,evidenzia la propria notorietà

le provocazioni quindi da definirsi alchemiche che illuminano sperimentazioni ,non solo ideologiche ,ma le definisce anche egocentriche ,crede che tutto questo nell’umano c’e , e resta ragione di vita ,se vogliamo una gratificazione personale.

Giovannino a suo tempo ,all’età della sua fanciullezza non coglie o meglio non sapeva cogliere quel filo malizioso di parole sottili che davano una doppia facciata,un doppio significato ,quindi cresceva il suo essere naturalmente ,non dava importanza alla parola ,ma credeva che chiunque come lui fosse genuino e con semplicità si potesse dialogare e portare rispetto reciproco .

Questo comunque è impossibile ! La diversità del pensiero ,delle culture ,delle ragioni sociali e ideologiche e relazionali ,le attitudini di piccole e medio borghesi ,fa si che per ogni individuo come ad esempio Giovannino resta difficile la sua collocazione definitiva di incerto narrante della materia stessa.
Difatti lui divaga ,in qualche modo, tira a se la sua attenzione ,ma non usa stratagemmi o come detto parole a doppia lama ,a doppio significato ,e semplicemente ingenuo ,ha molte cose da imparare ,da apprendere .



In mercificazione dell’anima ne da esempio ,ma che comunque non è una giustificazione logica ,un modo per distinguersi ,o quanto meno per distogliersi dagli altri ,lui ne trae insegnamento ,ne cogli appunto sfumature per dialogare una logica palese che esiste nell’essere umano ,nell’osservare e capire ,che in quell’essere può vive e regna in noi tutti.

Lo so! Vi chiederete perché in questo scritto non c’e la storiella ?
Giovannino ha voluto appunto divagare ,dare un senso a come tanti di noi a volte ci fanno riflettere ,con semplici parole,ve ne da esempio in una sintesi :

Capitava a Giovannino di sentire spesso conversazioni ,a suo tempo la tv non c’era o meglio c’era ma chi l’aveva erano pochi ,come avrete letto nelle precedenti storie lui e suo padre andavano a vederla dal proprietario delle terre ,li vedevano i programmi di quei tempi e sentivano le informazioni di cronaca che succedevano in Italia ,oppure c’era la radio che alle ore sette e trenta dava il radiosera ,il notiziario serale del radiogiornale che anche questo parlava di notizie nazionali e di casi più importanti e tutto finiva li. 


Apro quindi una parentesi ,ad oggi le informazioni sono diffuse da molti media ,da molte radio ,in più abbiamo il mondo virtuale che ci avvicina nella più lontana distanza ,ed è appunto che da uno di questi mezzi di comunicazioni che Giovannino tra le tante provocazione ne coglie una e lo fa riflettere ,forse perché in questa ha più interesse ,ha più passione ,ed è quella della poesia .


Recepisce quindi che il conduttore in un evento di lutto ne fa ironia. La rete nazionale e notiziari ne dà la notizia della morte di una notevole poetessa . Personaggi politici e molti ammiratori partecipano al suo funerale ,su blog ,siti e altri loghi di scrittura ognuno detta la sua scomparsa ,con omaggi e pensieri ,anche Giovannino oltre che nel passato gli dedicò una sua poesia partecipa ,direi che anche in questa modo di ricordare gli fa piacere rimembrare un’artista di notevole spessore.

Ma chi lo fa lo spessore,la notorietà di un scrittore ,un poeta?

Enigma questo che resta insoluto ,misterioso .
Ma poi arriva la provocazione,
arriva per radio dove il conduttore ne fa trasmissione ,parla e elogia la defunta ma a un certo punto si rivolge a un suo invitato e gli dice : chissà perché tante persone specialmente nei social netuork e blog e siti letterari scrivono di questa poetessa e chissà quanti di questi non hanno comperato un suo libro .Giovannino riflette e si chiede : ma come si fa a capire se questi che elogiano la poetessa ,o l’hanno elogiata con scritti o poesie come si fa a sapere se o meno ne hanno acquistato alcuno ? E perché dire una tale eresia se loro stessi non l’hanno mai seguita o letta ?Forse si vuole disprezzare ,o forse appunto è una provocazione

Giovannino crede che sia questa ultima e ne trae esca ,abbocca al l’amo ,ma non si stacca dalla canna perché sa benissimo che molti non hanno nemmeno da mangiare e i soldi da vivere ,che le notizie le assorbono da molte fonti e le poesie della poetessa sono diffuse in molte rubriche letterarie e non c’è bisogno di comprare per forza un suo libro per dare e fare omaggio alla sua lodevole memoria .
Conclude Giovannino : ho avuto una infanzia travagliata e non ho bisogno di provocazioni per farmi notorietà anzi ammetto d’essere un mediocre ,scrivo una semplice scrittura che nel tempo detta il mio semplice pensiero di autodidatta ,salgo la mia scala sempre più percorribile ove la meta è sempre più vicina ,che la volontà ,la passione di scrivere è sempre più lodevole ,un percorso naturale ove la mente trova la mia poesia.


Il travaglio perpetuo



Fu già nel grembo materno

che gridai forte il canto dellamore ,

cercai i miei ripari in versi di poesia ;

fermai il destino narrando la parola .

Scrissi di te ,di terre e mari

di un Dio che vive tra di noi ;

di spazi vuoti da riempire

e malinconie che solo tu potrai perire.

Toccai con mano la realtà della vita !

Il confine vivente di un mondo stellare ,

vissi lo spirito che fu combattivo;

fu larma migliore per chi ha una mente pura .

Fu nelletà delloro che assaporai il sesso!

Toccai con mano il fiore del peccato ,

di una femmina ne fui innamorato;

si rese sterile allevidenza dun concreto.

Toccai il suo cuore amaro
le sue labbra erano appese a un filo,

espiavo così i suoi silenziosi insulti ;

rendeva povero levento che accadeva.

Più volte gli alati scempi mi misero alla prova ,

più volte a rincorrere la brezza del brivido gelo:

mi tenevi appeso tra lallegoria ;

sulle membra la fredda delusione.

Oggi vedo cadere su volti la cera del pianto !

Un travaglio perpetuo che mai avrà fine:

il dolce peccato si nega agli innocenti

dalle violenze erotiche il sudario asciugo.


Giovannino. Poetanarratore.


Capitolo 17

Dalle storie di Giovannino
( diciannovesima parte )


Giovannino fa le valige.

Forse è troppo presto di parlare di valige ,perché Giovannino prima di andare via dal suo paese ha molte altre storie della sua infanzia da raccontare .In questa prima parentesi si dà accenno al suo tempo in cui si fecero i preparativi per emigrare in terra Bergamasca ,infatti tende a portarsi avanti per poi tornare indietro ,ma che comunque altre storie sue vi verranno narrate . Dopo il lungo inverno passato alla casa di campagna .


Giovannino si prepara con i suoi a migrare in terra Bergamasca , era l’inizio della primavera e le prime gemme spuntavano dai rami ,si accorse che molte erano le cose da fare :salutare gli amici ,recarsi a Candida paese di suo padre a salutare la zia Francesca e lo zio Luigi Cavallone e i suoi cugini ,la sua nonna Giovanna Cutillo , la nonna paterna, che in quel tempo era ritornata al suo paese di Candida ,lei nacque comunque a Boston in America ,poi tornata in Italia con suo padre che emigrò negli anni precedenti alla sua nascita .Giovannino oltre che andava dalla sua nonna ,doveva recarsi dal ciabattino e salutare tutti ,insomma un da fare che ci volevano giorni per completare tutte quelle visite .


Lasciava la sua amata terra e nel cuor suo c’era un velo di tristezza ,capiva che lasciava qualcosa di cui lui ne era innamorato , la gente con cui aveva condiviso il bello della sua prima infanzia ,le prime emozioni e gioie ,le scorribande nei campi e le varie corse che spesso aveva fatto giù per la strada sdrucciola dove c’era ,c’è la chiesetta della sua madonna ,la madonna incoronata ,dal viso dolce ,col suo bimbo imbraccio e la corona sulla testa ,spesso chiamata da Giovannino , la Madonna incoronata , li a pochi passi il laghetto dove con gli amici passavano momenti a guardare le rane i pesciolini appena nati .

Correva Giovannino ,correva ancora lungo quella strada ,correva e non lo fermava nessuno ,correva tra il vento e la pioggia tra le foglie che l’autunno si era lasciato alle spalle e l’erba fresca appena germogliata ,tra i primi ciclamini e i canti di uccellini che annunciavano la nuova primavera ,sentiva in se una nuova vita e a quella prossima che lo attendeva . Dopo aver salutato tutti ,un pomeriggio di una giornata di sole si recò nei campi dove suo padre aveva lavorato ,si avvicinò ad ogni albero di frutto alle viti ai ruscelli ,ad ogni angolo dove lui era stato e passato momenti di quiete di armonia dove lui ne aveva raccolto gioia e sfamato con i frutti la sua sete e fame ,si recò sull’aia e ballò la danza dell’addio .Pianse e rise e girandosi intorno guardò il cielo azzurro mentre l’aria fresca lo invadeva e colse l’abbraccio del sole . 


Colse l’attimo del cambiamento che per lui incerto ma sorprendente
aveva solo dieci anni Giovannino a quella epoca e un altro mondo lo attendeva ,altre strade da percorrere altre storie diverse da raccontare ,di un tempo fanciullo ,di nuovi amici ,di un inizio che ancora in lui era sorpresa e non sapeva cosa lo aspettasse ,recarsi in una città del nord Italia era per lui una enorme meta ,come se fosse una montagna da valicare ,da raggiungere quasi a piedi ,e si,che lui di corse ne faceva,era il più veloce del paese che a quei tempi solo lui e un altro dal nome Gerardo eran capaci , anche lui rosso di capelli ,e nelle gare che facevano intorno al paese quasi sempre uno dei due vinceva . 

Lasciava la festa patronale ,i fuochi d’artificio ,le bancarelle e il muso del maiale ,questo cotto veniva mangiato con il limone ,lasciva le luci colorate che in quella ricorrenza venivano messe in tutto il paese ,la banda che suonava sul palco e i cantanti che allora rallegravano le serate di festa ,lasciava la sua chiesa dove piccolino si recava a pregare ,il monte Serrone , i santuari che la sua nonna gli aveva fatto conoscere,il monte Vergine ,il monte sacro, dove i devoti facevano voto di penitenza recandosi su a piedi .

Lasciava la sua micia ,il suo cane ,che capiva che se ne andava e gli faceva le fusa,il suo cane gli scodinzolava la coda e faceva bau,come dire:perché te ne vai? La stazione dove spesso si era recato per andare al cinema ad Atripalda un paese limitrofo ad alla città di Avellino ,rivedeva la fattoria della nonna Giovanna e quella della nonna Luisa e nel suo stomaco tutto si ristringeva ,ma oramai era un giovanotto con una folta chioma riccia si sentiva un uomo o quasi.

Arrivato il giorno della partenza e preparatosi la sua valigetta di cartone con pochi panni dentro e poche cose sue personali ,lui e la sua famigli si incamminarono a piedi alla stazione del suo paese Salza Irpina a prendere il treno per Avellino ,da li poi per Napoli e da Napoli a Milano per poi seguire il percorso per Bergamo .

Giovannino partì da quella terra nel lontano 1961 e fu ospite in terra bergamasca ,seguiranno altre storie che narreranno i precedenti e i proseguimenti ,altre avventure ,l’arrivo alla città antica della bella città di Bergamo.



Capitolo 18

Dalle storie di Giovannino
( ventesima parte )



Giovannino approda sulla terra promessa.

Nel lontano 1961 ,esattamente nel mese di Febbraio Giovannino approda sulla terra promessa ,la terra Lombarda .Faceva ancora molto freddo e il viaggio fu lungo in quel treno che a quei tempi dava l’immagine di una avventura ,suo padre aveva preparato delle merende per quel lungo viaggio ,delle grosse fette di pane che sua madre aveva sfornato per l’ultima volta dal forno ,con dentro del formaggio e del salame ,companatico che lui stesso aveva prodotto ,una bottiglia di vino e dell’acqua ,Giovannino e suo fratello Saverio e Giovanna e la piccola Maria Grazia guardavano meravigliati i paesaggi che dal treno si lasciava alle spalle ,tutto sembrava meraviglia ,la mamma anch’essa era un pò timorosa ed emozionata ,dopo tempo rivedeva la sua mamma e il suo padre già residenti da un po’ di tempo a Bergamo ,ma il padre di Giovannino essendo già stato su era tranquillo ,e per due lunghi anni aveva trovato lavoro a una grande fabbrica di metal meccanica ,questa ditta gli aveva dato opportunità di lavoro e di sicurezza per la sua famiglia e per avere una certezza di un lavoro . 



D’altro canto erano gli anni della ricostruzione e molte fabbriche del nord richiedevano manodopera .Era il tempo dove in molti settori si apriva il bum economico e tutti ne fecero tesoro ,come furono molte le situazioni politiche :di seguito infatti ci furono molte stragi e molti morti ,un paese il nostro di radici antiche ,di gente colta e grandi avventurieri ,di poeti e di scienziati,di gente semplice e grandi sognatori ,ma anche di furfanti e malfattori .

Comunque tutto era novità per Giovannino ,alle varie fermate delle stazioni di Napoli ,di Firenze ,di Bologna Giovannino guardava curioso il nuovo mondo ,le grandi costruzioni e i grandi condomini e palazzi d’ogni misura ,sentiva quell’ odore diverso dal suo luogo e apprezzava il bello che vedeva ,tra la gente notava il vestire elegante e si sentiva un pò pezzente ,lui che vestiva semplice :un pantalone comperato al mercato di Atripalda e una maglia regalatogli da un suo zio che nel passato era stato da loro a trascorrere le vacanze ,un cappottino sgualcito e delle scarpe che il ciabattino gli aveva dato in occasione quando andò a salutarlo,notava la natura che in quel fine di febbraio si stava svegliando nell’attesa della prossima primavera e vedeva già le prime gemme sui rami,notava le grandi distese dei campi e il colore della terra in quei primi tratti era nera,i colli della Toscana e le bellezze della bella Roma ,i profumi della Romagna e il suo mare ,e le distese della Lombardia grandi pianure .

La sua mamma accarezzava a se i suoi piccoli e con una timida voce gli sussurrava:

comportatevi bene ora che andiamo su, rispettate gli altri e fatevi voler bene da tutti ,li si trovavano già i nonni materni che in precedenza si erano trasferiti un paio d’anni prima ,il nonno Saverio e la nonna Luisa ,quelli che avevano la fattoria nei pressi della stazione di Salza Irpina. Il padre aveva affittato un appartamento dal cugino di Giovannino ,figlio del nonno Saverio ,questo appartamento era sito nella città antica di Bergamo e lo aveva già arredato con gli arredi necessari per tutta la sua famiglia. Arrivati a Milano Giovannino vide l’enorme stazione e la moltitudine di gente che andava e veniva ,gente d’ogni ceto sociale che frenetica si muoveva in quel quotidiano per lui tutto strano.

Preso il treno locale per Bergamo si avvicinava alle montagne della Bergamasca e l’aria fresca si sentiva sempre di più,il manto nevoso faceva da cornice e tutto dentro di lui era una evolversi di novità , un traguardo che stava per avverarsi nella nuova terra. Dopo qualche ora arrivarono a Bergamo ,alla stazione nessuno era ad attenderli ,preso il tram si arrivano alle porte di San Giacomo ,passando per le porte di San Agostino ,qui la strada costeggiava tutte le mura della città antica e si vedeva la città bassa un panorama incantevole per Giovannino ,un nuovo luogo che già in lui gli si apriva ai suoi occhi come un qualcosa di bellissimo e travolgente .

Arrivati alle porte di San Giacomo scende dal pullman con la sua famiglia .Era una giornata come detto fredda ,un bel sole faceva riflesso sui palazzi antichi e dava quella immagine di un antico coinvolgente ,presero la stradina che li portava alla nuova dimora e Giovannino diceva al padre: Papà , papà ,ma quando arriviamo ?Ho fame! Il padre tranquillo e sorridente lo tranquillizzava ,gli diceva che ancora qualche metro e si sarebbero finalmente casati ,le valige erano pesanti e tante erano state le fatiche a portarle a spalla .

Finalmente arrivati presero una strettoia ,la via Arena ,questa sita dietro al Duomo di città alta ,lì dove ha sede la piazza antica ,la piazza vecchia così chiamata ,salgono diverse scale e entrano in quella casa svuotano le valige e Giovannino sempre curioso chiese ai suoi di uscire per un attimo ,per andare a vedere quel luogo .Si recò alla piazza vecchia e vide tantissimi colombi ,una meraviglia! Era come se fosse stato sulla sua aia a giocare ,con la differenza che li c’erano i colombi , mentre sulla sua aia c‘era di solito la paglia per il fieno e il grano da macinare ,si addentrò nel centro della piazza e con lo stupore di molti si volteggiò su se stesso , alzò le mani al cielo e i colombi volarono in alto tra il cielo azzurro , tra se un grido di gioia e lo manifestò per aver trovato un luogo che a lui piacque già da subito,vedeva così la nuova terra …

Capitolo 19


Dalle storie di Giovannino .

(ventunesima parte )
Giovannino va a lavoro.

Non era una novità che Giovannino andasse a lavorare ,come saprete al suo paese lui lavorava già dal ciabattino e arrivato nella nuova terra di certo non gli mancava occasione per ricominciare un nuovo lavoro.

Ma prima di continuare con la nuova occupazione lavorativa in terra bergamasca Giovannino và ancora indietro nel tempo ,quando ancora viveva nella casa di campagna in terra Irpina :



Capita che un giorno marinò la scuola con altri suoi amici ,cosa rara per lui ,perché rischiava le bacchettate del professore e le sberle di suo padre .Quel giorno era troppo entusiasta ,in lui come negli altri suoi amici c’era la frenesia di evadere ,di fuggire da qualcosa che li assillava .



Era di venerdì e già allora il fine settimana era una pretesa ,forse alquanto azzardata ,ma la settimana andava a termine e con i giorni seguenti assaporavano la gioia delle festività .Si avvicinava il periodo Pasquale e già nei campi i primi fiori ,i primi ciclamini e con le viole adornavano la cornice campestre .



Da tenere presente che il luogo dove abitava era una vasta collina contornata e una enorme vallata accostata da monti ove si poteva accedere facilmente ,infatti quel giorno sempre con i suoi amici si recò in montagna sul monte Serrone ,lì c’èra già stato con il suo compare di cresima e conosceva il percorso ….



Camminarono tra i boschi ,tra i castagneti ove il sole filtrava i suoi raggi ,era una bellezza guardarsi intorno e ad un tratto su una piccola pianura videro un pastore con molte pecore ,si domandarono cosa ci facesse lì in montagna ? Avvicinandosi con timore gli chiesero come mai era lì e non giù in pianura ?Il pastore li guardò e sorrise ,in loro vedeva l’ingenuità fanciulla e con senso paterno gli racconto,disse che a valle c’èra la semina dei contadini e che era ancora presto per andarci ,quindi in quei luoghi incolti con la prima erbetta nascente poteva pascolare il suo gregge .



Raccontò un po’ di sé ,della sua vita solitaria ,di un tempo triste ,di aver perso sua moglie e di avere anche lui dei figli ,lasciati in custodia a sua madre ,che comunque abitavano in un altro paese vicino ed erano a scuola .

Si sorprese e chiese come mai non erano andati a scuola?

Giovannino arrossì e poche furono le risposte .

Disse che lo studio era importante ,migliora la personalità e apre l’intelletto a un mondo migliore .



Dopo aver scorrazzato tra felci e rami secchi Giovannino e i suoi amici tornarono a casa ,ognuno di loro disse la bugia ai loro genitori,ma per Giovannino non fu così ,il ciabattino se ne accorse e di seguito lo seppe pure il padre ,quindi anche quel giorno si prese la dose di mazzate .



Dopo qualche giorno che si era stabilito nella nuova casa ,in via Arena nella città vecchia di Bergamo Giovannino cominciò ad ambientarsi alla nuova vita ,qui l’abitazione non era come la casa di campagna che era spaziosa e intorno c’erano giardini e campi ,ma restava tutto più chiuso in una architettura antica ,dove comunque lui apprezzava quel fascino fiabesco dell’antico tempo.



Trovava quindi il colle aperto e San Vigilio ,località queste collegate alla stessa città vecchia non lontane dalla piazza vecchia ,qui si affacciava,si affaccia , la veduta della città bassa e specialmente nelle giornate di sole o a tarda sera si vede la bellezza della distesa del territorio con le tante costruzioni ,contornata da mura altissime ,una cornice romantica per la lunga passeggiata di questo luogo.


Fa presto conoscenza con altri ragazzini lì residenti e comincia da subito a relazionarsi con loro ,conosce Salvatore Murro e Nicola Adobati ,due ragazzi anch’essi emigranti ,uno dalla Sardegna e l’altro di padre Siciliano e madre bergamasca e che subito ne divine amico ,questi a sua volta gli fanno conoscere altri amici ,Nino e Andrea e di seguito altri che nel racconto vi citerò.



Ora però parliamo di lavoro: come vi avevo detto lo zio di Giovannino Amato Giangregorio figlio di suo nonno materno aveva fatto il servizio militare a Bergamo e da questi si casò a Bergamo e si sposò con una ragioniera bergamasca aveva aperto una ditta di maglieria e aveva diverse lavoranti e lo zio volle che anche Giovannino andasse a lavorare da lui ,le sue mansioni erano di seguire l’addetto ai telai di maglieria e aiutare lui nel imbustare e scatolare le maglie per poi spedirle in tutta Italia e all’estero ,un laboratorio al quanto funzionale e ben organizzato .



Iniziò subito Giovannino e fu presto gratificato dall’accoglienza di tutti ,in particolare dalle ragazze che come detto erano molte ,alcune lo coccolavano e gli sorridevano ,lui con poca malizia diventava subito rosso e a volte non capiva ,già comunque era rosso di capelli poi si ci metteva il rossore della pelle e diventava una fiamma,ma gli piaceva ricevere quelle aggraziate attenzioni ,non era mai stato a contatto di una donna e lì di femmine ce n’erano ed erano anche molto belle !Sentiva già allora quel profumo di donna che mai aveva sentito e capiva quanto fosse eccitante tutto quello.



Erano molti i favori che gli chiedevano le ragazze ,e con scuse varie lo solleticavano e a volte abboccava ingenuamente ,Giovannino annuiva e con parole di consenso gli mostrava tutta la sua disponibilità e simpatia .Capitò che negli anni seguenti si innamorò perfino di una di queste con scarsi risultati , ma la timidezza lo penalizzava e non riusciva a farsi avanti ,davanti a tanta grazia e tanta abbondanza in se soffriva ,vedeva i loro grembiuli scollati che d’estate vestivano quasi tutte sbottonate davanti e le cosce e il loro corpo si mostrava sensuale e invitante,insomma era un piacere a vedere tanta grazia di Dio,ma anche una sofferenza per lui che incominciava a sentire il fremito del desiderio ,avrebbe voluto toccare accarezzare quei corpi sensuali ,anche perché più volte gli fu dato opportunità di farlo ,ma lui aveva paura come se fosse un frutto proibito da mangiare ,lui che era ,è di sangue caliente tutto gli ribolliva nelle vene e non solo nelle vene ,e fu in più occasioni che si ritrasse con la paura di essere rifiutato o di fare brutta figura.



Ora si pente per non aver accettato e averci con alcune di loro provato ,ma già allora sentiva che per avere una storia ci doveva essere un qualcosa di sentito ,di attrazione sentimentale altrimenti restava solo sesso ,questo comunque fu per lui tabù per molti anni.



Si alzava alle sette di mattina un po’ come per la casa di campagna quando con sua sorella andava in paese a portare il latte alla gente e poi recarsi a scuola ,qui invece a piedi si incamminava dalla città alta alla città bassa per andare al laboratorio dello zio che si trovava quasi al centro della città ,molto vicino al sienterono ,luogo questo centrale di Bergamo, nei pressi di via Borfuro una laterale di via San Orsola dove poi seguiva il sienterone presso porta nuova ,qui arrivava per le otto e subito incontrava suo zio e altri lavoranti .



Le giornate passavano e lui presto imparò le varie funzioni del grande macchinario,era un grande telaio dove venivano tessute la varie parti delle maglie ,queste parti venivano poi rimagliate dalle ragazze per poi diventare maglie o maglioni completi.



La sera verso le sette smetteva il lavoro e sempre a piedi saliva per la via San Alessandro ,da qui a metà strada arrivava al paesetto ,una piccola contrada dove abitavano alcuni zii e la sua nonna Materna Luisa,a volte nel tragitto si fermava a salutarli e poi riprendeva il cammino per la sua casa ,come se non fosse cambiato nulla dal tragitto della casa di campagna ,solo che lì c’era un ambiente cittadino ,mente al suo paese c’era un ambiente paesano ,ma il percorso era simile ,e lui correva ,correva sempre anche lì ,gli mancava la chiesetta della sua madonna incoronata e il laghetto con i pesci che non avrebbe mai più visto ,in compenso c’era un’altra chiesetta in quel tragitto anch’essa della madonna che nel salire quella strada la incontrava e tra se recitava ancora la preghiera(l’ave Maria )
Capitolo 20

Dalle storie di Giovannino ( ventiduesima parte )

Giovannino ritorna a scuola.

…Giovannino rimane sempre più attratto dal nuovo mondo ,dal nuovo luogo della città antica di Bergamo. Una città che racconta la sua antica storia e le sue chiese e monumenti e strutture antiche ne parlano per lei. Giovannino ne continua a raccontare ,racconta di se ,della sua fanciullezza di quel tempo ,meta dei suoi ricordi e esplorazioni nuove.. Lo fa con parsimonia

con amore ,evidenziandone i particolari ,specialmente quelli storici per dare un senso al trascorrere del tempo e lasciare una impronta non solo sua ma delle epoche che si susseguono ,si mutano e si evolvono .Infatti in ogni luogo dove lui ha vissuto ,vive la sua vita ,ne fa e da memoria ,del suo passato e della storia.

Una storia che ha importanza per raccontare ,ha la sua valenza per l’emotiva e sensibilità ,per capire e far capire che ogni essere non è mai stato radicato per sempre nel proprio luogo nativo ,ma branche di esse hanno ramificato discendenze ,hanno fatto progenie e si sono diffuse nel mondo della nostra amata terra senza dare affermate appartenenze di fissa dimora,ma da uomini liberi che viaggiano nel tempo della vita. Vi racconto quindi accenni di storia bergamasca per poi passare al raccontino di Giovannino.

Quindi Bergamo oltre che città antica ,città d’arte e storia:

Secondo le leggende Bergamo fu fondata da un figlio di un capostipite dei Liguri ,antico popolo che ha dato il suo nome all’attuale Liguria ,questi si diffusero ,in Piemonte,in Toscana,in Romagna ,e in Lombardia ,e da “CIDNO” negli anni 501 al tempo appena dopo il diluvio universale ,ebbe il nome originale DI “BARRA” NEL VI secolo Ac. Bergamo venne conquistata dai Galli,popolo devastatore e assassino ,da “BARRA “ diviene “BERGHEM” termine questo che è imparentato con i vocaboli Germanici ,la sua etimologia antica infatti così divisa: BERG= MONTAGNA E DA

HEIM = ABITAZIONE . e ancora ad oggi nella sua lingua dialettale troviamo Berghem, detta Berghem de sotta e Berghem de sura , traduzione:( Bergamo di sotto ,Bergamo di sopra ,le due città che da prima delle origini esistevano nella bassa solo le porte ( di Portauova ) e la città alta era allora fiorente.

Arrivano poi i Galli Sinoni di Bremo ,questi ebbero battaglia con i Romani e fu per un certo periodo da questi ,e divennero sudditi di essi ;in qualsiasi epoca e battaglia la città fece fronte alle diverse invasioni e comunque sostenne benessere e prosperità,nel 49 ac. a seguito di un editto di Giulio Cesare imperatore appaiono le prime chiese e il culto cristiano fu già da allora la città di San Alessandro come suo patrono ,nel 402 ac. arrivano i Goti di Alarico e poi gli Unni di Attila ,quindi tocca a i Vandali e ai Bizantini ,per poi essere occupata dai Longobardi popolo questo che maggiormente si integrò nelle urbe Lombarde .

Nel 774 arrivano i Franchi di Carlo Magno dando vita al commercio e a molte strutture architettoniche e nel 894 la città fu di nuovo saccheggiata e distrutta ,fu il vescovo Amolfo che da lui costruirono molte chiese ,vedi città alta e le sue chiese, e nel 1407 diventa repubblica della serenissima Venezia e nel 1561 questi dettero inizio alla costruzione delle mura di città alta ,troviamo quindi la strada che dalla città bassa viene costeggiata da queste ,luogo strategico e collinare.

Bergamo è nota anche come città dei mille :l’otto Giugno del 1859 Giuseppe Garibaldi fa il suo ingresso nella città ponendo fine al dominio Austriaco passando dalle porte di San Lorenzo ,che presto vennero battezzate ,porta Garibaldi ,l’anno successivo nel 1860 e con 174 bergamaschi partirono nella spedizione dei mille,testimonianza questa dello stesso generale che ne dettò elogio di essi come prodi valorosi e figli di Bergamo e dell’Italia nostra poi.

Ma come di solito Giovannino divaga ,parla ,parla…vuole che tutto e tutti siano in armonia ,vuole che tutto sia scritto e sia fatto ,tiene alla storia come alla genealogia ,sa che molti sono i popoli ,gli stessi che invasero la sua terra ,lui di stirpe antica di origine Greca ,e tra se pensa :che tutto il mondo è paese gente che si è unita tra loro dando vita ad altre progenie e discendenze ,di razza e di cultura .

Infatti è di cultura che vi voglio parlare,di Giovannino ritorna a scuola:

al pensiero di raccontare egli sorride ,come se un orgoglio si espande sul suo volto bambino ,che non tramuta mai ,resta sempre col suo ricordo fanciullo.

Ritornava da lavoro da suo zio ,che come detto nel precedente racconto faceva il magliaio e per sua volontà decise di iscriversi alla scuola serale per acquisire la terza media ,lui al paese aveva conseguito la quinta elementare con fatica e aveva ripetuto sia la terza che appunto la quinta ,ora voleva riscattarsi e imparare qualcosa di più.

Erano i tempi del 1965 appena l’era che dette inizio al bum economico e in tutta Italia c’era fermento di industrializzazione e ricostruzione ,molte erano le ditte che aprivano e il lavoro abbondava per tutti ,ma la sua volontà era tanta ,lavorava e finiva a sera ed era difficile conciliare tutto ,ma i soldi servivano e come sempre trovò il modo per recarsi a scuola ,frequentò corsi serali e con tanta buona volontà si prese la terza media pur questa sofferta e sudata .

Di sera tornava da lavoro e dopo aver cenato ripartiva con la sua cartella recandosi di nuovo a piedi nella città bassa e correva…correva….mai ne aveva fine quel correre ,il suo limite di studio fu sempre il sei ,e questo lo ha accompagnato per tutta la sua vita ,non fu mai aiutato da nessuno ,un fai da te precario che a volte in lui c’erano tanti attimi di sconforto e delusioni,ma non si arrendeva e andava avanti ,la sua istruzione quindi ne diviene autodidatta pur avendo preso la licenza media ,convinto di ciò cerca con tutte le sue forze di migliorare e la passione per il canto poetico e coinvolgente, spera sempre che in un prossimo futuro arrivi ad avere un voto in più alto ,almeno un sette! questo me lo darete voi che mi leggete?


Capitolo 21


Dalle storie di Giovannino.( ventitreesima parte )

Giovannino parla di politica.


Vi chiederete come mai Giovannino parli di politica nei suoi ricordi fanciullo ?

Ebbene come più volte raccontato ,lui era ed è figlio di contadino ,intendiamoci da non confondersi con gli agricoltori ,questi hanno aziende agricole e sono proprietari di terreni ,mentre i contadini specialmente nei tempi degli anni 50 o 60 erano mezzadri e il loro lavoro era precario ,andavano a lavorare i campi a giornata oppure lavoravano le terre appunto ,a mezzadria per i proprietari terrieri .


Sappiamo che specialmente nel passato cerano e ci sono ancora di possidenti che davano opportunità di questo tipo lavorativo ,quindi il contadino lavorava la terra e tutto il raccolto che veniva ricavato compresa la legna che veniva dalle potature degli alberi ,veniva divisa a metà con il proprietario delle terre ,per regolarizzare la divisione cera come visore il fattore ,questo faceva gli interessi e le veci del proprietario ,coordinava e divideva i vari raccolti ,il contadino oltre la metà dei raccolti aveva laffitto gratis del casale ,case coloniche che nei tempi furono residenze di caccia dei signori .


Comunque si parlava delle differenze tra i contadini e gli agricoltori ,questo quanto basta per chiarire che il contadino era il più povero che non possedeva nulla e a volte se il raccolto andava male ,non bastava a sfamare la sua famiglia perché appunto doveva dividere tutto col proprietario .

Come detto negli anni 50 e 60 ci fu la ricostruzione del dopo guerra e nacquero molte fabbriche e molte le costruzioni edilizie ,gente come il padre di Giovannino venivano dal sud e emigravano al nord dellItalia a fare gli operai ,per migliorare ,migliorarsi la loro dignità umana e il loro stato economico e sociale.


Era una notevole forza lavorativa che operava specialmente nella metal meccanica e nel tessile e altri settori,vi chiederete allora cosa centra tutto questo con la politica? Centra! Molti settori operai erano e lo sono ancora ,orientati a una certa politica di sinistra dove lideologia allora aveva la sua valenza e credenza a una appartenenza di sinistra ,era più attiva e incisiva per la tutela delloperaio che dava maggiore supporto ai molteplici contadini e operai ,quindi una politica a difesa del sociale ,

si era convinti quindi di sostenere ideologicamente un partito ,ottenere uguaglianza di pari diritti e doveri .



Il padre di Giovannino credeva a questa ideologia anche perché come detto in quel tempo cera una politica unitaria di lavoratori ed erano per il maggior numero ,una dottrina comunista che coinvolgeva la maggior parte della gente ,ed era la stessa che ne aveva necessità,e fu dunque per Giovannino seguire lindiscusso pensiero di suo padre e logicamente rappresentato dai politici di quei tempi che onestamente rappresentavano il popolo dei lavoratori .


Arrivò il tempo dellimmigrazione di Giovannino e dopo alcuni anni si senti attratto da quella politica ,fu il tempo degli anni 1965 e Giovannino aveva appena 14 anni ,cera in lui fermento e voglia di capire ,con un suo amico decise di iscriversi al partito comunista e con entusiasmo partecipò a molte assemblee e manifestazioni e divenne sostenitore del partito.


Passarono anni e Giovannino si accorse che quelle ideologie cambiavano ,o meglio svanivano,la politica non la vedeva sincera come allora ,per tanti diveniva obbiettivo di interessi ,quindi se nel passato ci fu partecipazione ,poi quella ragione ideologica andava a finire ,lui è convinto che cè una corsa al potere e che molti nei periodi di elezioni si sciacquano la bocca a fare promesse che non mantengono ,si accorge che molti furono gli scandali di politici dettati dai media e dai giornali ,che ognuno pensa a se e la credibilità va sempre meno ,non frequenta più assemblee ,pensa che se si vuole qualcosa bisogna ottenerlo lavorando sodo ,che bisogna cavarsela da soli facendo sacrifici ,trovare quindi unaltra dimensione di idee per crescere e andare avanti che viene sopportata da una propria capacità imprenditoriale e da questo si costruisce una sua indipendenza lavorativa ,nessuno da niente per niente e ne diviene simpatizzante del centro destra con lamaro dispiacere di suo padre .


Lui non capisce queste differenze di evoluzione lavorative e politiche si era fermato al suo tempo contadino ,a questo punto Giovannino ne cava morale e ragionamento,e si chiede:

Se allora una certa politica era efficiente e faceva parte integrante delle masse operai ,ad oggi non più perché lui stesso tocca con mano diverse evoluzioni ,non è più necessario attendere un qualcosa che mai arriva,ma voltarsi le maniche e evolversi in altre attività ,capisce che la vita cambia e un individuo a secondo quello che svolge con le sue capacità può realizzarsi e dare ma pino il suo contributo alla sua persona e alla società,capire quindi la sua appartenenza dalle esperienze che lo stesso fa nel suo percorso di vita.


I cambiamenti si notano nel tempo ,e ogni epoca ne da e fa partecipazione ,ed appunto da queste esperienze che si forma lessere ,cè da dire che loperai alla fine del mese prende il suo stipendio e non ha pensieri di come procurarsi commesse per farlo lavorare ,mentre lautonomo non può permettersi di ammalarsi e con la febbre deve aprire il suo negozio o azienda che sia .


Da questo Giovannino ne desume che lideologia di sinistra per lui è superata ,che chi ha voglia di lavorare deve essere creativo e professionale ,la voglia di crescere produce libertà e benessere in una democrazia nazionale,può alimentare opportunità e continuità quindi crescita e benessere per tutti ,e non aspettare quello che non arriva ,lui pensa che non è giusto pretendere quello che altri si sono guadagnato con fatiche ,che si ricava dalle capacità e non si deve distribuirlo gratis a chi non fa niente ,non esclude comunque ragioni di assistenzialismo per il sociale e ne cita alcune categorie:

Le assistenze agli anziani alle donne madri ,ai bimbi bisognosi e le loro patologie mediche ,alla istruzione e allassistenza medica ospedaliera ,ma esclude la prepotenza di quelli che vogliono per forza un qualcosa che non è il loro ,non sarebbe più democrazia e libertà di agire e di pensare.


Se il benessere si vuole a tutti i costi bisogna guadagnarselo giorno dopo giorno ,e Giovannino ha vissuto e vive questa realtà e arriva al suo obiettivo politico facendone spese fisiologiche e travagli vari ,trova comunque disquisizioni anche nel centro destra e alcune forme non gli piacquero allontanandosi da questi che erano orientati ad arrivare ai loro obiettivi politici ,trascurando così brache minoritarie di ideologici futuri ,si desume quindi che Giovannino nel tempo assorbe le due ideologie politiche e il suo concetto è quello di apprezzare lindividualità di quello che crede e va fino in fondo alle cose da fare per il benessere unitario ,si accorge che se una famiglia è mal governata si sfascia ,e visto che in politica e a quelli che lamministrano sia opportuno governare dignitosamente perché pagati con denaro pubblico ,ogni politica sia di destra che di sinistra faccino il proprio dovere nei loro interessi e di quello dei cittadini .


Chi lavora si guadagna i soldi con sudore dice Giovannino e non con chiacchiere ,crede che il benessere può esserci per tutti e riconoscibile ai più meritevoli e non ai lazzaroni o mariuoli ,in una fiorente democrazia sociale ,parità dunque di diritti e doveri condivisi nella buona volontà ,fondamenta queste che in Giovannino hanno assorbito educazione da un padre comunista che trovò la morte in una conseguenza lavorativa ,riconosciuta poi malattia professionale .


Ad oggi molte cose sono cambiate e si guarda al concreto ,molti si sono evoluti e lo studio ha fatto la sua parte e si guarda al concreto dei fatti il suo orientamento politico resta al centro destra ,ma trova difficoltà nel valutare il valore autonomo che viene disatteso ,non ci sono spazi per crescere ed è difficile che giovani iniziano nuove attività,si chiudono quindi laboratori ,di antichi mestieri e di servizi diretti al pubblico ,si aggiornano fabbriche attingendo contributi a fondo perduto ,questo è denaro pubblico che va speso ,lasciando a casa forza lavoro e la manodopera viene sempre meno ,si cerca di inglobare in centri tutte le attività per un maggiore controllo fiscale ,e anche qui molti finiscono al raschio del barile ,lasciando strascichi di debiti e di imbrogli vari

Cè bisogno di crescita individuale di economia ,di giovani sollecitati e aiutati e Giovannino lo nota in questa epoca di crisi globale dove molti hanno forzato i loro interessi ,e per queste conclusioni Giovannino ne da esempio dettate dalla sua esperienza di vita ,un concetto quindi che lui detta e sa bene che resta una piccolissima particella di nulla inascoltata in un mare infinito.


Capitolo 22



Dalle storie di Giovannino.( ventiquattresima parte )

Giovannino e i mitici anni sessanta.


Furono quelli gli anni in cui Giovannino visse a pieno la sua vita fanciulla ,ora cresceva e si poteva definire uomo ,o quasi! Adagio si incamminava verso la vita e man mano scopriva realtà nuove in quella epoca che tutto era fiorente ,la magia degli anni sessanta ,definita da molti boom economico ,dove molte famigli Italiane e europee scoprivano il progresso e la pace di quegli anni .


Ci furono le prime tecnologie dei media e delle attrezzature domestiche ,la televisione fece il suo esordio in prima fila in molte case Italiane e cominciò la crescita del benessere e del lavoro per tutti ,ricorreva lanno 1965 e Giovannino aveva quindici anni ,come raccontato nel precedente episodio ,lui scoprì la politica e il suo idealismo ,ma anche la gioia di divertirsi con gli amici ,e sempre in quel periodo giravano canzoni di gruppi inglesi ,i Rokes , i Rollistons i Beatles e altri ,in Italia nasceva la gara musicale di San Remo e molti cantanti italiani ne cantarono di belle.


Ci fu il primo sbarco sulla luna e per un attimo si ebbe sensazione di trovare altri umani ,Giovannino come detto continuava ad andare da suo zio e in mezzo alle ragazze si sentiva un re ,seguiva con interesse quel bello di quel tempo e sentiva che cera aria di fratellanza ,cosa ad oggi svanita come la nebbia al sole ,,ma ci furono molti episodi di odio politico ,sia in America che in Italia ,laria nuova cambiava e il benessere si diffondeva in stragi e paure ,si creava il clima della tensione .

A Dallas in Texas in una manifestazione popolare venne ucciso il presidente Kennedy ,si racconta che appoggiava luguaglianza negra ,da lì altre stragi ,in Italia e in tutta Europa molti altri eventi che sicuramente voi saprete


Nascevano molte canzoni cantate da diversi cantanti ,quelle di Celentano ,Adamo,Bobby solo, Little Tony , e molti altri ancora , Giovannino e i suoi amici andavano spesso al colle aperto di Bergamo e lì si fermavano e col mangia dischi le ascoltavano ,era un gruppo di circa quindici ragazzi ,a volte oltre venti ,occupavano il vialetto e diverse panchine e cera quello che faceva scherzetti, quello che fumava la prima sigaretta per farsi vedere grande ,quello che le sparava grosse e si mostrava spavaldo ,quello che era pieno di appuntamenti con ragazze e frettoloso si fermava per poi tornare dopo cinque minuti ,insomma dire che era un cinema era poco,ma cera tanta armonia e gioia da vendere e da vivere

Si,passò un po di tempo da quel giorno che Giovannino arrivo nella piazza vecchia e alzò le mani al cielo ,ora era diventato partecipe a tutta quella ghenga di amici come se fosse il padrone di città alta ,conosceva ogni vicolo ed era tra i posti più belli di quella città ,si recava spesso al cinema semenarino ,un cinema gestito dai preti dove lì era il ritrovo di tutti i ragazzi di città alta ,erano in molti a quei tempi e quello che colpì tanto a Giovannino fu la pepscola e le patatine ,mai bevuta e manciate al suo paese.


Ma i soldi ! Maledetti soldi erano sempre pochi e trasferitosi poi nella città bassa in via SantAlessandro ai piedi della città antica ,Giovannino si arrabattava per averne di più,aveva scoperto dove suo fratello nascondeva il suo salvadanaio e con furbizia gli ne prelevava alcuni,di solito erano le mille lire e con una spilla adagio li tirava fuori anche perché in quel periodo dopo tante peripezie con suo padre si fece comperare la moto ;era un morini -il corsarino sport 48 ,molto veloce a benzina ,con questa moto era invidiato da tutti i suoi amici e spavaldo scorrazzava giù e su per la via delle mura che da città bassa portava in città alta.


Si sentiva libero Giovannino e tutto girava per il meglio ,con il suo corsarino si portava in molti luoghi di cui le vallate bergamasche ,ai laghi e alle città vicine a Bergamo ,seguiva una unica direzione ,questa per non perdersi e per capire che poi nel tornare indietro era la stessa ,si era comperato occhiali scuri e un fatto fare da un sarto suo amico ,dei pantaloni di gens tipo western come quelli de mandriani con gli occhielli in parte alla gamba e lintreccio della corda ,delle camice su misura e un giubbotto di pelle nera ,insomma era un centauro a tutti gli effetti .


Arrivati gli anni settanta Giovannino aveva molti amici in più e con uno in particolare fondarono la Tana ,un scardinato molto grande per poterci andare a ballare con la loro compagnia ,misero divani ,manifesti luci colorate ,insomma crearono un ambientino mica male ,molto accogliente per loro ma in particolare per le ragazze .Per Giovannino fu linizio di unera fantastica scopriva per la prima volta cose mai fatte ,come il ballo , in particolare il lento questo a luci spente si affusolava tra lintimità adolescenziale ,quindi questi lenti nascondevano i primi approcci e il bello che al buio accadeva ,mano che scivolavano sui glutei ,attiravano baci e giochi di lingua fino ad arrivare al fondo schiena per poi strusciarsi e stringersi forte ,ed era talmente forte il fuoco che addosso si sentiva che entrambi cadevano in fusioni con la musica che suonava e suonava

Il problema nasceva quando mancavano le ragazze ,e Giovannino per farsi e darsi vanto invitava le sue cugine ,erano carine naturalmente ,ma non erano abbastanza cera bisogno di qualcosa in più in quella tana ,direi di lupi ! E da come si era messa la cosa bisognava darsi da fare ,non come oggi che si va a scimmiare nelle discoteche e assordarsi e a rompersi i timpani saltando come canguri senza nemmeno sfiorarsi ,e se si trova la puzzona che lha sotto il naso ,ma allora era tutto avventuroso e si decise di far partecipare con noi unaltra compagnia ,la compagnia del cinese ,era un bel ragazzo di nome Fausto e molto elegante .


Alcuni di loro erano tipi non affidabili ma a noi non interessava basta che portavano le ragazze ,quindi fu fatto un patto tra le due compagnie , quella di Giovannino e quella del cinese e per un lungo periodo questi vennero a ballare alla tana e tutto si svolgeva pacificamente ,almeno lì poi fuori nei loro luoghi a noi non importava quello che combinavano ,limportante che quando venivano portavamo le donne altro non interessava .


Capitò in un lento che Giovannino ballo con una bella ragazza dal nome Carmen ,questa si strinse a Giovannino e lemozione saliva alle stelle ,ci fu il primo bacio e incollato ad essa toccava il cielo ,aveva baciato una ragazza per la prima volta e quel assaporare di lingua e di sapore damore sentiva il suo odore ,la sua carne che tra le braccia si scioglieva ,come in una fusione evaporasse nei sensi della passione .Ma tutto finiva lì erano anche gli anni della semplicità e non della malizia e della violenza sessuale ,ma per la maggiore erano quelli genuini ,semplici e gentili ,non cera la scortesia e la male educazione anche il più cattivo era lonesto nel corteggiare una donna .


Carmen quindi fu la prima donna che donò il bacio a Giovannino ,e gli insegnò a baciare a fargli sentire quel desiderio mai provato e dopo qualche tempo non la vide più ,lui e i suoi amici continuarono ad andare col mangiadischi a colle aperto ,a cantare :

LOVE ME DO ……


Capitolo 23


Dalle storie di Giovannino .(venticinquesima parte )

LA POESIA NON SI TOCCA!!!!!




PARLA GIOVANNINO - Poetanarratore :



Giovannino parla a tutti i poeti e a tutti i suoi lettori.

In questi ultimi eventi politici emergono fatti poco piacevoli e poco chiari per la nostra poesia ,le discussioni sono varie e per quello che mi riguarda personalmente la politica faccia il suo corso e non implichi chi di poesia vive e gioisce la sua fantasia.

Mi accorgo con amarezza di atteggiamenti presuntuosi ,che la poesia e chi la rappresenta ne venga fatta oggetto di discussione e cè qualcuno che in nome di tutti i poeti ne esalta il concetto politico ,dove si assume nomea di appartenenza e se vogliamo atteggiamento di prepotenza includendo tutti nella stessa linea di pensiero.


Questi si propone come fautore indiscusso di una ragione politica e ne rappresenta volontà altruistiche criticando una illogica volontà.

La poesia è una fonte di ispirazione personale ,una formula intima del personaggio poeta ,è la massaggiatrice della pace e di concordia per tutti gli esseri umani ,quindi non deve assolutamente essere oggetto di contrasto e ne tanto meno rappresentata da un unico personaggio;non deve inficiare forme di appartenenza politica e ne tanto meno distribuire malessere tra i poeti stessi ,nel suo contenuto va esaltato il bello della vita e dellamore deve distogliere e implicare concetti sani e costruttivi e non farne discorso politico ,quindi chi si fa promotore di pretesa si ritiene capo di un qualcosa improprio di una certa ideologia sbagliata e non condivisa da tutti ,disquisisce quindi ai principi morali e crea contrasto tra i poeti stessi.


E' assolutamente sbagliato rappresentare una categoria di cui molti di noi ne apparteniamo e ne esprimiamo singolarmente pensiero individuale ,facendo nomea di detrattori famosi del passato mettendo tutti i contemporanei sullo stesso piano .Ogni poeta di qualsiasi ideologia politica ,a mio avviso ha il diritto e sacrosanto dovere di tenersi per se idee diverse e non espanderle ad altri ,laltrui pensiero quindi è individuale e non da rendere comune e partecipe per tutti .


La poesia resta ed è larmonia di se stessi e di chi ne cava significato analogico e non un dettato imposto e di contrasto. Sembra che in questa epoca si cerca di inficiare e accorgersi che i poeti possano far parte di una certa branca ,cosa al quanto sconnessa e impropria ; nessuno può fare suo quello che non lo è ,ne tanto meno il pensiero di un altro.


Da una trasmissione radiofonica e da accenni virtuali un certo poeta che ora non ne ricordo il nome si fa capo e parla in nome di tutti i poeti ,ne fa retorica politica schierando tutti nella stessa linea politica ,questo è molto grave ,a mio avviso è errato ,la poesia ne deve stare fuori è e rimane voce propria ,quindi tutti i poeti incluso me ne diamo forza espressiva ,nellamore e nel sociale , e non nella politica ;questo signore che si ha permesso di rappresentare tutti parli per se e non per chi non la pensi come lui

Se guardiamo agli autori del passato ognuno ha dettato il suo pensiero e mai nessuno si è fatto promotore di iniziate a nome di tutti senza sapere la vera e certa ideologia ; la politica quindi va lasciata fuori e la poesia e chi la rappresenta non deve essere ragione di offesa ,ma orgoglio e piacere per chi la scrive ,per chi la legge ,una singolarità che fa unico il personaggio (poeta) e lo distingue da altre forme critiche .


Il poeta combatte con la penna ,da solo ,col suo stato danimo unica arma a sua disposizione ,questa deve servire e trasmettere sensibilità e non cattiveria o provocazione ,o a aizzare contro questa o quella appartenenza politica ,arte questa personale e creativa dove si renda chiaro la capacità dellartista stesso ,se così non fosse si sminuisce tale rappresentativa e la categoria ne subisce equivoco e disprezzo ,si blocca la bellezza gestuale del crescere e della capacità personale rendendo artefatto e obbligato un atteggiamento non suo bloccando un qualcosa che tutti i poeti evocano con passione e amore la poesia resta langolo di tutti noi e va difesa da chi la vuole bistrattare ,non deve essere contaminata ,ma pulita e in essa raccontare il nostro vivere ,resta limpronta indelebile per i futuri e la saggezza per la cultura

Capitolo 24 

Dalle storie di Giovannino . ( ventisettesima parte )
Giovannino va a fare il militare .


Erano i tempi irrequieti quelli , per Giovannino e quanto mai non lo erano o lo sono stati ! il suo stato di salute era ottima ma la sua sensibilità e il suo stato emoziona a volte lo tradiva e da quei quattro ragazzi ne fu scelto solo uno .questo era perfetto in salute e cioè la sua pressione sanguigna era positiva al massimo ,daltra parte a chi volesse fare quel tipo di addestramento doveva avere tale requisito salutare ,e con una piccola amarezza a Giovannino gli fu assegnato il ruolo di assistente ai servizi vari nellarma degli alpini nel corpo comando e sanità .


Ma andiamo per gradi : da prima fu mandato a San Rocco provincia di Cuneo ,qui fece il car ,un addestramento di quaranta giorni dove i militari venivano addestrati ,a marciare ,a conoscere le armi e i loro funzionamenti ,a lanciare le bombe e a sparare al poligono ,cosa che a Giovannino gli piaceva fare ,gli piaceva stare assieme ad altri anche se tra i tanti cera sempre il rompi ,ma di questi veniva spesso da molti messo subito a tacere ,le camerate erano enormi e la sera dopo aver girato per il paese di San Rocco e andato in una osteria a mangiare e bere del buon vino piemontese Giovannino e altri ritornavano in camerata ,lì come tante femminucce ognuno si curava la sua intimità i panni intimi e cioè le mutandine e i calzini venivano lavati nei grandi lavandini della caserma e negli angoli della camerata appesi ,cera pure langolino per stirarsi le camice e a turno ognuno si stirava la propria biancheria ,le coperte e le lenzuola venivano date dalla caserma e ogni certo periodo erano da cambiare ,la mensa era enorme e il cibo al quanto buono,Giovannino solitamente mangia lì a pranzo poi la sera in osteria .


E avanti passo ! ahahah quante marce ,quante risate con il cappello e la penna nera in testa era un vero uomo ,un alpino di quelli che veramente apprezzava ,apprezza ancora il vino .Furono giorni che passarono in fretta anche perché a Bergamo aveva lasciato gli amici e li ne aveva fatti altri .aveva lasciato un progresso che sempre più cresceva e in quegli anni tante cose cambiavano in fretta ,si vedevano i primi centri commerciali ,correva lanno 1970 il progresso aveva fatto passi da giganti e lItalia stava in buona salute come naturalmente il nostro Giovannino .


Finirono i giorni delladdestramento e Giovannino ebbe licenza di recarsi a casa sua ,in quella occasione lui ricorda che si recò dalla sua nonna a Candida e al suo paese Salza Irpina ,salutò gli amici di prima infanzia e molti suoi parenti ,si sentiva libero e su quel treno che portava al sud era un giovane fatto oramai a tutti gli effetti .Ritornato a Bergamo dal car gli fu destinato il reggimento di appartenenza e come detto fu mandato a Merano in provincia di Bolzano ,qui al raggruppamento servizi della sanità e del comando .


Da subito ebbe lincarico di recarsi alla mensa ufficiali e nel tempo adeguato faceva lattendente al Colonnello Guaschino ,una persona tutto dun pezzo ,ma molto buono di cuore ,gli voleva bene a Giovannino e fu proprio da quellaffetto che un giorno successe il finimondo : Giovannino aveva il pass fino alle ore ventitre e trenta ,cosa che altri erano limitati alle ventidue e trenta nel rientro serale alla caserma ,sentiva voci dai suoi amici che il colonnello lo cercava e che la caserma era in subbuglio ed erano tutti in allerta e lui non capiva cosa centrasse e cosa avesse fatto ,rientrò e alla porta centrale dentrata il sergente maggiore avvisava Giovannino che il colonnello era incazzato nero , sempre più si faceva fitto il mistero e il sergente spiegò a Giovannino chi erano i due ufficiali che erano stati a pranzare alla mensa ufficiali? E da dove provenivano ? Giovannino che aveva responsabilità di registrare la presenza sugli addetti registri della mensa e chi fossero disse che tutto era stato fatto a secondo delle disposizioni date .


I due ufficiali provenienti da un altro reggimento si erano fermati a desinare a quella mensa ,ma Giovannino prese loro solo i loro nomi e non il numero di matricola militare e da li ci fu un casino ,si pensò da subito che fossero spie e quantaltro e lui con altri della mensa furono passati responsabili di quellaccaduto ,il colonnello che come detto voleva bene a Giovannino lui ed altri li condannò a stare per tre giorni puniti nella cella del corpo di guardia alla porta centrale ,naturalmente non furono chiusi nelle sbarre e nemmeno poi fu scritto nulla sul concedo militare perché questa fu una distrazione bella e buona .


Fu una sera ventosa e tirava vento di scirocco che Giovannino conobbe una bella ragazza ,quella che poi sarebbe stata la sua futura moglie ,con un suo amico si erano recati a mangiare una pizza e bere della birra Foster ,usciti dal locale videro tre ragazze di cui Margherita al momento Giovannino buttò locchio sulla rossiccia ,una tedesca bella formosa e piena di salute con tutte le sue belle forme in evidenza ,si avvicinarono a loro e Giovannino per attaccare discorso gli fece una battuta : peccato disse! Siete tutte tedesche e non capite quello che diciamo ma subito Margherita disse di non essere tedesca e che lei era veneta spunto questo per attaccare bottone , infatti la discussione o meglio lapproccio funzionò , Giovannino e il suo amico le invitarono a ballare ,una balera carina molto intima ,lì si conobbero parlarono di tutto e di più con lintendo che la sera dopo si sarebbero visti ,almeno quello che Giovannino disse a Margherita e stabilirono alle venti e trenta della sera dopo .


Sapendo dove Margherita lavorava Giovannino la sera dopo si recò allappuntamento ,si anticipò e alle diciannove era già lì come un fesso ad aspettare ,Margherita allora era molto bella ! E lui ci teneva a conoscerla ,ma lei non arrivava ,passarono due ore e nessuno si vedeva ,Giovannino tra se pensava che le donne a volte sono tutte uguali ,che se non trovano il principe azzurro non si muovono ,erano ormai le ventuno una serata dautunno il vento era treschino in quel posto molto bello dal sapore straniero ,chissà se verrà diceva tra se Giovannino ,lattesa era diventata ansia e non ci stava più nei panni ,si fumò due pacchetti di sigarette ma nulla cambiò e decise di andarsene ,si allontanò qualche passo e da lontano sentì una vocina direi al quanto incazzosa che diceva:

Senta lei perché mi ha mentito? Giovannino divento di mille colori e non capiva perché Margherita gli facesse tale domanda ,gli rispose chiedendogli cosa fosse capitato e lei gli ribadì la stessa domanda aggiungendo che lui doveva identificarsi che era un militare .


Ho capito disse Giovannino ! I militari qui non sono ben visti e la sera si andava in un bar ci si vestiva in borghese e si girava per conoscere qualche ragazza altrimenti era difficile fare conoscenze .Chiarito il fatto la Margherita acconsenti ad andare con lui in un bar ,qui si misero in un privè e bevvero qualcosa ,i primi sorrisi e battute fecero esordio e la simpatia incrociò gli sguardi nacque subito una bella intesa che si protrasse in tante sere dopo sempre o quasi in quel privè ,le passeggiate sul passirio di Merano poi erano tra le più romantiche e i primi baci rubati ne facevano passione . nasceva così un amore il primo di Giovannino e nel seguente anno si sposava con Margherita ,seguirà quindi la prossima con i particolari e le altre ,chiamiamole avventure ! .

Dalle storie di Giovannino . ( ventisettesima parte )
Giovannino va a fare il militare .



Volarono quegli anni incantati ,fantastici e meravigliosi che Giovannino vive con armonia e tanta felicità ,odori e sapori si innestano nella sua anima ne lasciano tracce di bellezza ,di candida e pura giovinezza ,di sincerità tra le genti genuine di quei tempi ,di un mondo fratello che nel bisogno una semplice parola un saluto veniva spontaneo dal cuore.


Compì i suoi diciotto anni il Giovannino uomo sempre a caccia damore che tra le tante non trova e non arriva mai ,ma gli arriva la lettera dal ministero della difesa ,la visita medica da passare a Brescia ,tre giorni di varie e scrupolose visite mediche che i dottori dellesercito dovevano convalidare o meno la sua idoneità , difatti lui si ferma un giorno in più avendo chiesto di entrare nel corpo dei parà ,di questi furono scelti quattro baldi giovanotti di cui Giovannino .


Erano tempi irrequieti per Giovannino e quanto mai non lo erano o lo sono stati ! il suo stato di salute era ottima ma la sua sensibilità e il suo stato emoziona a volte lo tradiva e da quei quattro ragazzi ne fu scelto solo uno .questo era perfetto in salute e cioè la sua pressione sanguigna era positiva al massimo ,daltra parte a chi volesse fare quel tipo di addestramento doveva avere tale requisito salutare ,e con una piccola amarezza a Giovannino gli fu assegnato il ruolo di assistente ai servizi vari nellarma degli alpini nel corpo comando e sanità .


Finirono i giorni delladdestramento e Giovannino ebbe licenza di recarsi a casa sua ,in quella occasione lui ricorda che si recò dalla sua nonna a Candida e al suo paese Salza Irpina ,salutò gli amici di prima infanzia e molti suoi parenti ,si sentiva libero e su quel treno che portava al sud era un giovane fatto oramai a tutti gli effetti .Ritornato a Bergamo dal car gli fu destinato il reggimento di appartenenza e come detto fu mandato a Merano in provincia di Bolzano ,qui al raggruppamento servizi della sanità e del comando .


Da subito ebbe lincarico di recarsi alla mensa ufficiali e nel tempo adeguato faceva lattendente al Colonnello Guaschino ,una persona tutto dun pezzo ,ma molto buono di cuore ,gli voleva bene a Giovannino e fu proprio da quellaffetto che un giorno successe il finimondo : Giovannino aveva il pass fino alle ore ventitre e trenta ,cosa che altri erano limitati alle ventidue e trenta nel rientro serale alla caserma ,sentiva voci dai suoi amici che il colonnello lo cercava e che la caserma era in subbuglio ed erano tutti in allerta e lui non capiva cosa centrasse e cosa avesse fatto ,rientrò e alla porta centrale dentrata il sergente maggiore avvisava Giovannino che il colonnello era incazzato nero , sempre più si faceva fitto il mistero e il sergente spiegò a Giovannino chi erano i due ufficiali che erano stati a pranzare alla mensa ufficiali? E da dove provenivano ? Giovannino che aveva responsabilità di registrare la presenza sugli addetti registri della mensa e chi fossero disse che tutto era stato fatto a secondo delle disposizioni date .


I due ufficiali provenienti da un altro reggimento si erano fermati a desinare a quella mensa ,ma Giovannino prese loro solo i loro nomi e non il numero di matricola militare e da li ci fu un casino ,si pensò da subito che fossero spie e quantaltro e lui con altri della mensa furono passati responsabili di quellaccaduto ,il colonnello che come detto voleva bene a Giovannino lui ed altri li condannò a stare per tre giorni puniti nella cella del corpo di guardia alla porta centrale ,naturalmente non furono chiusi nelle sbarre e nemmeno poi fu scritto nulla sul concedo militare perché questa fu una distrazione bella e buona .


Fu una sera ventosa e tirava vento di scirocco che Giovannino conobbe una bella ragazza ,quella che poi sarebbe stata la sua futura moglie ,con un suo amico si erano recati a mangiare una pizza e bere della birra Foster ,usciti dal locale videro tre ragazze di cui Margherita al momento Giovannino buttò locchio sulla rossiccia ,una tedesca bella formosa e piena di salute con tutte le sue belle forme in evidenza ,si avvicinarono a loro e Giovannino per attaccare discorso gli fece una battuta : peccato disse! Siete tutte tedesche e non capite quello che diciamo ma subito Margherita disse di non essere tedesca e che lei era veneta spunto questo per attaccare bottone , infatti la discussione o meglio lapproccio funzionò , Giovannino e il suo amico le invitarono a ballare ,una balera carina molto intima ,lì si conobbero parlarono di tutto e di più con lintendo che la sera dopo si sarebbero visti ,almeno quello che Giovannino disse a Margherita e stabilirono alle venti e trenta della sera dopo .


Sapendo dove Margherita lavorava Giovannino la sera dopo si recò allappuntamento ,si anticipò e alle diciannove era già lì come un fesso ad aspettare ,Margherita allora era molto bella ! E lui ci teneva a conoscerla ,ma lei non arrivava ,passarono due ore e nessuno si vedeva ,Giovannino tra se pensava che le donne a volte sono tutte uguali ,che se non trovano il principe azzurro non si muovono ,erano ormai le ventuno una serata dautunno il vento era treschino in quel posto molto bello dal sapore straniero ,chissà se verrà diceva tra se Giovannino ,lattesa era diventata ansia e non ci stava più nei panni ,si fumò due pacchetti di sigarette ma nulla cambiò e decise di andarsene ,si allontanò qualche passo e da lontano sentì una vocina direi al quanto incazzosa che diceva:

Senta lei perché mi ha mentito? Giovannino divento di mille colori e non capiva perché Margherita gli facesse tale domanda ,gli rispose chiedendogli cosa fosse capitato e lei gli ribadì la stessa domanda aggiungendo che lui doveva identificarsi che era un militare .


Ho capito disse Giovannino ! I militari qui non sono ben visti e la sera si andava in un bar ci si vestiva in borghese e si girava per conoscere qualche ragazza altrimenti era difficile fare conoscenze .Chiarito il fatto la Margherita acconsenti ad andare con lui in un bar ,qui si misero in un privè e bevvero qualcosa ,i primi sorrisi e battute fecero esordio e la simpatia incrociò gli sguardi nacque subito una bella intesa che si protrasse in tante sere dopo sempre o quasi in quel privè ,le passeggiate sul passirio di Merano poi erano tra le più romantiche e i primi baci rubati ne facevano passione .

Nasceva così un amore il primo di Giovannino e nel seguente anno si sposava con Margherita ,seguirà quindi la prossima con i particolari e le altre ,chiamiamole avventure ! .
Un abbraccio Giovannino . Poetanarratore.
Dalle storie di Giovannino . ( ventottesima parte )
Giovannino si sposa .


Dai diciotto anni Giovannino passa subito ai ventidue anni in cui prossimo al matrimonio sorvolando fatti che già in precedenza vi ho accennati : il militare e la sua leva e quello che lui aveva passato in quel mondo nuovo ,la conoscenza con la Margherita e il luogo di Merano dove laveva conosciuta .
Dopo alcuni mesi egli finì la leva ,erano gli anni 1971 e con la sua futura moglie decise di recarsi a Venezia .Erano gli ultimi giorni di militare e gli fu concessa la licenza premio a lui spettante di diversi giorni e vollero recarsi a Venezia ,Verona e nei posti dove la Margherita aveva trascorsi i suoi anni da fanciulla ,poi da li a Bergamo a conoscere la famiglia di Giovannino .

Fu una bella vacanza prematrimoniale e il morale era alle stelle tante erano le cose da fare e mille programmi da espletare , comunque la Margherita restava ancora per un anno a Merano prima di trasferirsi definitivamente a Bergamo in modo che il suo futuro marito preparasse il loro nido damore .In quel giro di piacere fecero da prima tappa a Verona e visitarono Larena il centro storico e il palazzo Maffei meta questo che interessava a Giovannino per la sua antica casata .Pernottarono in un alberghetto e nella serata a cena consumarono un pasto a base di pesce bevvero del vino bianco ,esattamente una bottiglia di verdicchio ,lui lo sostenne bene ,ma la sua donna al primo bicchiere si ubriacò e Giovannino rimase in bianco ,lui sperava che in quella occasione potesse fare qualcosa di intimo ma vedendo la situazione non ne volle approfittare .


Il giorno dopo passata la sbronza a Margherita partirono per Venezia anche qui presero una stanza e girarono la laguna in lungo e in largo ,era destate e il caldo era insopportabile ,sul letto Giovannino vedeva la sua donna nuda e il sangue gli saliva alla testa ,furono abbracci e carezze ,il resto ve lo lascio immaginare a voi ,fecero foto a piazza san Marco e viaggiarono spesso in gondoletta con lo stupore e il piacere per entrambi ,forse quel viaggio prematrimoniale fu meglio del viaggio di nozze .Dopo Venezia si recarono a Bergamo ,qui li aspettava la famiglia di Giovannino e con tanta accoglienza la madre il padre e i fratelli e sorelle di Giovannino accolsero la futura sposa ,il padre il giorno seguente da subito gli regalò lanello di fidanzamento che Giovannino gli mise al dito e fecero una modesta festa con la presenza dei parenti più stretti .


Passarono alcuni Giorni e dopo aver fatto vedere la città Giovannino e Margherita tornarono a Merano dove lui di seguito ebbe il concedo ,lasciò quindi la Margherita a Merano e con laccordo che al fine anno lei si sarebbe trasferita definitivamente da lui a Bergamo . Lattesa era lunga e la pazienza di aspettare era interminabile ,mille erano le lettere che ogni giorno Giovannino gli ne scriveva una e le telefonate fattogli sul posto di lavoro ,sembrava che il tempo si era fermato e non passasse mai .


Preparò tutto Giovannino : la casa in affitto arredata e tutto loccorrente per il matrimonio .Questo avvenne nel 1973 ,il 13 Gennaio nella chiesa di San Alessandro in colonna ,una giornata di sole con un gran freddo e diversi invitati .Si recarono in un ristorante il Ventimiglia ,ad oggi chiuso .lì festeggiarono e ballarono la loro festa ,brindarono alla vita e al loro eterno amore .


Partirono quindi per il viaggio di nozze ,la meta era il suo paese nativo ,qui incontrò la sua zia Francesca e il suo zio Luigi di Candida e la sua dolce nonna Giovannina ,quella che un tempo alla sua fattoria gli tirava i sassi per avere le dieci lire per comperarsi il cono gelato ,salutò il ciabattino e i suoi amici di infanzia e partecipò ancora una volta con suo zio Luigi alluccisione del maiale con la gioia dei cugini e a bere quel buon vino che in quei luoghi fa onore a quella terra .


Tornati a Bergamo cominciarono la loro avventura lavorativa

e a quei tempi Giovannino si era staccato da suo zio e non volle più andare a lavorare da lui ,trovò un posto di lavoro in una ditta di elettrochimica ,lavoro questo al quanto pericoloso e nocivo ma ben retribuito , lei invece era brava a stirare e si recava da una lavanderia a fare delle ore di stiro ,in più presero del lavoro di impagliatura ,del tipo viennese e in una stanza debita a questo per circa due anni misero da parte circa ottocentomilalire questi servirono per aprire un laboratorio di lavasecco .


Si trasferirono quindi a Mozzo una prima periferia di Bergamo e dettero inizio a un loro lavoro in proprio su iniziativa della moglie ,di questo li impegnò per tutta la loro esistenza ,o quasi! Nacque così dopo due anni la prima figlia Mascia con la felicità di entrambi ,ma in particolare di Giovannino che vedendola così bella la chiamava , la chiama ancora affettuosamente bambolina ,aprirono unaltro lavasecco e con levento del secondo nascituro dal nome Mirko dovettero vendere uno dei due laboratori ,si trasferirono quindi in un altro paese ,a Seriate dove comperarono una casetta indipendente e qui nacque il terzo bimbo ,Mike .la Margherita superava ogni intemperie e assieme a Giovannino affrontavano tanti sacrifici .


Decisero di fermarsi ,di non aver più figli ,daltra parte conciliare il lavoro e la casa era una impresa difficile nonostante che ci fossero le tate che li guardassero .Giovannino ebbe allora intenzione di vendere tutto e trovarsi un suo lavoro e lasciare a casa definitivamente Margherita ma lei non volle cedere la sua attività in essa aveva la sicurezza di far crescere i suoi figli e Giovannino decise comunque dopo un paio di anni di supplenze temporanee entro a far parte lavorativa nella scuola pubblica .Passarono anni e altre storie si consumarono ,ma di queste e del resto ve ne parlerò nel seguito .
Giovannino . Poetanarratore.
Dalle storie di Giovannino ( ventinovesima parte )
Giovannino fa le differenze .

ULTIMO EPISODIO . 

DALLE STORIE DI GIOVANNINO .

Giovannino a Bergamo fa il centauro .

Dopo la venuta in terra bergamasca , io e la mia famiglia andammo ad abitare nella città antica , in via Arena , dietro al maestoso duomo di Piazza Vecchia , la grande piazza di città alta , ove risiede la cappella del grande condottiero Colleoni e la basilica di Santa Maria Maggiore . 

Non mi fermo a descrivervi le tipologie e le notizie delle chiese , su internet trovate tutto , mi fermo solo per un attimo a parlare del grande e valoroso condottiero Colleoni che  in Bergamo e dai bergamaschi ad oggi è considerato l'eccellenza di ogni bergamasco .

Bartolomeo Colleoni nacque a Solza, un villaggio della sponda bergamasca dell'Adda. Sulla sua data di nascita non vi è certezza, anche se in una targa bronzea rinvenuta nel suo sepolcro il 21 novembre 1969 è indicata, assieme alla data della morte, l'età di ottant'anni: da ciò deriverebbe che l'anno di nascita sia il 1395.Bergamo i bergamaschi lo ricordano come se fosse un padre della patria .

E Giovannino  il centauro dove è, dove è finito ? C'è , c'è  eccomi ! Dicevo che dopo la venuta in terra bergamasca , a Bergamo alta , la città antica , io e la mia famiglia ci cassammo in casa affitto , da un mio cugino che era già da prima venuto a Bergamo e aveva in proprietà un intero palazzo in via Arena .

Da lì io , il Giovannino , percorrevo ogni giorno la strada delle mura , ( le murine ) per recarmi al laboratorio di maglieria di mio zio ,fratello di mia madre . Percorrevo il vicolo adiacente alla via Arena e passavo dalle porte di San Agostino ,giù per il luogo chiamato paesetto , lì abitava il mio zio Parigino con i miei nonni materni .

Arrivato in via Borfuro entravo al laboratorio ove da subito  mio zio mi mise su un enorme telaio di maglie ,col tempo lavorai poi in atre maglierie  fino all'età di 19 anni e fu per me un mestiere confermato ,ero pratico e potevo distinguermi dai tanti ,affermandomi colla qualifica di telarista .

Nel frattempo mi volli iscrivere alle scuole serali per prendere la terza media che mi promossero ed ebbi l'attestato ,da lì poi il militare che leggete in altri episodi .Ora però seguiamo Giovannino centauro se no parlo d'altro e non di me che vado in moto .

All'età di 16 anni oramai mi sentii grande , correre a piedi , su e giù per le mura e recarmi a lavoro era diventato un po stancante ,decisi di convincere a mio padre di comperarmi una moto ,dopo tante insistenze e discussioni riuscii a convincerlo , lui naturalmente come genitore si preoccupava ,non confidava in me la sicurezza della mia capacità .

Comunque arrivo' il fatidico giorno e con lui andammo a comprare la moto . Acquistai una moto Morini , esattamente il Corsarino spor ,questa moto raggiungeva fino ai 120 km  orari ed era magnifica ,specialmente a quei tempi che a dire il vero fui uno dei primi a comperarla  e con l'invidia di molti miei amici mi gasavo facendomi spesso partecipe ai moltissimi raduni .
Con la mia famiglia ci spostammo da città alta e andammo in città bassa , in via San Alessandro , proprio rimpetto alla famosa chiesa di San Alessandro in colonna , chiesa che in anni dopo mi sposai . Ero vicino al lavoro a due passi e la moto la usavo solo nei giorni festivi , ma in uno di quei giorni volli recarmi in città alta ,per incontrare degli amici , capitò che al semaforo di porta nuova la grande porta del centro di Bergamo poi chiamata  via Papa Giovanni XXIII , la mia moto si ingolfa e non riuscivo a farla ripartire ,dopo un po si avvicina un vigile con toni altezzosi e mi invita sgarbatamente di farmi da parte , mi chiede il libretto della moto il patentino e comincia a dirmi i tanti spropositi ,io mi difendevo , dicendo che non era colpa mia  se la moto era ingolfata e di lasciarmi andare .Nulla da fare questo vigile cercava in ogni modo di volermi fare la multa ed io rispondevo a tono dicendogli che era esagerato e che andasse a fare cose più importanti e non stare li con un ragazzino a estorcere denaro .

La discussione fu accesa , volarono parole a mio dire razziste ove lo stesso disse che Bergamo non era luogo simile a Napoli , che noi del sud eravamo fuori controllo e non validi a guidare ,insomma continuava a offendere me e il mio sud ,a quel punto non ne potei più delle sue improperi e lo mandai a quel paese .

Questo vigile idiota volle allora che lo seguissi al comando dei vigili e il perché non capivo ,nel frattempo si avvicinò un'altro vigile ove lesse il patentino e sentì meravigliato la discussione tra me  e quel vigile incompetente .Disse a lui cosa stasse facendo e perché, visto la mia giovane età ,cosa servisse portarmi al comando e a fare cosa ?

Notai il volto del secondo vigile e da subito mi fu famigliare , capii che lo stesso era del sud e che aveva dei gradi da superiore ,un volto comunque solare ove era tipico della mia terra avellinese ,mi guardò e espresse alcune parole in in dialetto campano che da subito capii ,gli risposi dicendogli che la mia moto si era ingolfata , che quel incompetente fece tutta quella scenata e che fu tutto inutile il suo fermo.

Mi venne da chiedergli se anche lui fosse campano , mi rispose : si di Avellino, mi lasciò andare dandomi una pacca sulle spalle dicendomi di stare attento ,guardò l'altro e con uno sguardo gli significò che era un povero imbecille .

Erano i primi anni delle emigrazioni dal sud verso il nord e da tanti del nord eravamo mal visti ,per un po di anni venivamo classificati terrone gente spregevole ,questo tipo di considerazione fu l'offesa più grande tra i fratelli italiani che come narrato in altri racconti per genealogia italica gli stessi hanno la stessa appartenenza .Ne soffrii , ma essendo io un giovane sorridente e leale avevo i tanti amici e questo mi fece ricredere che molti bergamaschi era gente onesta e lavoratori .

Giovannino dunque scorrazzava in lungo e in largo , ricordo che specialmente in giorni festivi con la mia moto visitavo diverse località della bergamasca : la valle Brembana ( San Pellegrino ) la valle Seriana ( Clusone ) i laghi  -di Endine , di Iseo ... recandomi anche nelle città vicine : Lecco , Como , arrivando ad avvicinarmi alla grande Milano , a Brescia , a Crema , Cremona .

Tutto fu fu per me un senso di conquista , riuscivo a raggiungere luoghi mai visitati seguendo un metodo semplicissimo e non usando cartine , ma solo le indicazioni andando sempre per le strade con lunga percorrenza , la principali ,per poi facilmente tornare indietro .

Fu lo stesso con gli amici ove nelle moltissimi incontri Domenicali ove ci incontravamo  in case private a ballare e ognuno era interessato ad avere la mia moto per andare a prendere qualche ragazza ,al fine era come se la mia moto era a disposizione di tutti .Fu per me un tempo felice ,Giovannino il centauro nel seguito comprò , comprai una grossa moto , era un Guzzi 125 dal rumore rombante di colore rosso fuoco e un manubrio da grande centauro .

Divenni Bergamasco a tutti gli effetti e seppi adottare i loro modi di vivere , ad oggi faccio loro un plauso per avere un equilibrio sensato ,per sopportare e capire le varie persone che nelle varie epoche si sono inserite nel sistema sociale , bergamasco  e di tutta la Lombardia .


Giovannino lascia a chi legge  un caro saluto ,alla mia città adottiva , la GRANDE BERGAMO .


PARLA GIOVANNINO !Per chi mi segue da anni come poeta in questo anche scrittore , la storia non è ancora finita ,anzi ! I toni si fanno più rumorosi . Voglio quindi partire da questi tempi incerti e travagliati per fare una differenza e un punto della situazione umana , da come erano i tempi negli anni cinquanta e sessanta e settanta ad oggi .

Differenza di vita ,di tranquillità e di lavoro che molti di voi come me hanno vissuto e vivono loggi in una forma diversa ,direi scandalistica ,abominevole e oltraggiosa ;cè troppo ladrocinio a volte perfino legalizzato ,una vergogna che supera ogni limite e non si riesce ad avere quella pace necessaria per affrontare ogni giorno i problemi quotidiani ,lo notiamo nella politica ,nel nostro modo di porci che resta ed è superficiale ,questo comportamento è causato dalla indifferenza di molti che sicuramente hanno subito e si forma una catena di malessere che avvolge ognuno che ci casca ,o quanto meno non ha la forza di reagire e capirne i significati ì

Il malessere dilaga ed io in questo inizio danno nuovo mi sono proposto di stare tranquillo e combattere ogni avversità che si presenta e come dicevo ho notato a malincuore sempre più il distacco della gente ,ho una attività e molte cose le noto e le sento oltre che le discuto ,vedo che siamo tornati bambini capricciosi tutto si vuole subito e nessuno ci mette la buona volontà per averle ,se do la caramella il dialogo comincia ,si! Se do la parola la persona si scioglie e racconta tutto di se , dice ogni cosa di se ,persino le sue storie più private ,insomma uno sfogo necessario che fa bene ,e fa star bene .

Quello che noto principalmente sono i lamenti del mal distribuito benessere ,delle storie personali di amori feriti che a sentire alcune sono elogi frustranti che rimangono dentro ,ed io mi chiedo spesso come possibile rimembrare un dolore se questo fa del male ,o ha fatto del male ,lamore a mio avviso è un tormento di piacere e come tale deve essere una partecipazione reciproca e non una esortazione di continuo lamento .


Ad oggi molte cose sono cambiate ,cambia il modo di comunicare , il mondo e sempre più ci isoliamo luno dall'altro ,ora in questi anni duemila dieci il virtuale fa faville e sempre più si cerca di avere un dialogo attraverso i social network ,

SEGUIRÀ’ DUNQUE SULL'ARGOMENTO

UN MIO ROMANZO

DAL TITOLO

- DIMMI QUALE INFERNO VUOI -